Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

 

La” Sautade” la pesca a piedi ai muggini saltatori
Mi alzo che è già giorno, i pescatori stanno rientrando dalla pesca notturna con i tramagli e le feluche avanzano silenziose con le loro eleganti vele latine. A bordo delle barche ci sono anche tante donne, qui spesso l’equipaggio è formato da moglie e marito. Fatta colazione carichiamo, si scioglie la vela e si parte, gironzoliamo fra le barche incrociando pescatori che pescano con le nasse ma raccogliendo un bottino assai magro e poi incrociamo una battuta di pesca al muggine che viene fatta con la “Damsa”. Seguiamo i pescatori e facciamo una cala con loro, una pesca scenografica e inusuale, una pesca camminata nell’acqua, gli uomini si buttano in acqua vestiti e con l’immancabile capello di fibre di foglie di palma intrecciate, camminano nell’acqua per sostenere e salpare le reti. È una battuta che coinvolge dodici persone e tre barche, un motopesca e due canot che vengono trainate dalla grande durante gli spostamenti fra un cala e l’altra. Si va a caccia di mulet (Muggini saltatori). Questa tecnica di pesca è chiamata “Sautade”  la pesca è veloce e spettacolare, individuato il branco di muggini il capo pesca a bordo della prima canot inizia a calare la rete verticale “la sor” un tramaglio, il capo pesca sta a prua in piedi con la karia (una pertica) in mano e indica la rotta mentre a poppa il vogatore oltre a spingere sui remi cala la rete, il terzo della barca si lancia subito in mare per fare da perno al tramaglio, subito a seguire l’altra canot stende sopra al tramaglio la rete orizzontale  “la damsa” una rete a maglie piccole tenuta distesa da canne “Ksab” e galleggianti. Man mano che la cala avanza disegnando una spirale che si apre all’esterno i pescatori si lanciano in mare per sostenere la rete e iniziare a tirare la Sor in senso inverso rispetto alla cala, per cominciare a chiudere la morsa intorno al branco dei muggini, da qui capisco il senso della rete verticale che blocca i muggini che cercano di fuggire saltando. Mi metto a tirare il tramaglio e i pescatori sono ben lieti, è faticoso ma divertente bisogna tirare la rete a velocità costante stando il più vicino possibile al tramaglio più esterno. Mentre il cerchio si rimpiccolisce, dalle barche si comincia a salpare le reti, più il cerchio è piccolo e più i muggini saltano rimanendo intrappolati nella rete orizzontale, poi una volta chiuso il cerchio, si cala dentro questa camera della morte la skara, una specie di sciapichello che chiude sul fondo e permette di prendere i pochi muggini rimasti e qualche pesciotto bianco, soprattutto saraghini e dorade.
Il tutto è molto veloce dall’inizio della cala alla messa a bordo della Skara saranno passati venti minuti, sono contento mi sono sentito uno della squadra, seguiamo la piccola flottiglia e facciamo un’altra battuta assieme. Questa volta entro subito in acqua e mi metto a tirare il tramaglio, il capo pesca ha visto giusto e facciamo una bella cala, prendiamo più del doppio rispetto a prima infatti sono tutti contenti. Ci prendiamo un sacchetto di pesce e si fa vela verso l’isola delle cento palme la sciando la squadra che andrà avanti fino a stasera con questa faticosa pesca a piedi. Il risultato non  è malvagio però se si calcola che sono impegnate dodici persone i guadagni non devono essere gran che. In realtà la pesca nell’arcipelago è in crisi, colpa di tanti fattori: la crescente attività estrattiva nel golfo di Gabés, le barche da pesca che vengono da lontano e che pescano a largo, anche qui una delle cause principali sono le paranze, le maledette paranze che distruggono i fondali e catturano il pesce prima che arrivi sottocosta.
Si chiama cento palme ma in realtà di palma c’è ne una sola e c’è una gruppo di persone di El Attaya che è arrivato prima di noi e sotto la palma le donne hanno allestito un accampamento, mentre gli uomini stanno pescando con uno sciapichello. E’ bello mi sembra di esse’ tornato bimbo ai tempi delle cacciuccate, ma in realtà ancora più indietro ai tempi delle cacciuccate raccontatemi dai vecchi della Bonalaccia quando, chi a piedi chi con il norge (una barchetta a remi con un nome così importante da sembrare una fregata) uomini e donne lasciavano per un giorno la campagna e si trasferivano all’Ischia, allo scalo di Fonza o alla Ripa Nera per una cacciuccata. Il  fondale basso e sabbioso e l’acqua trasparente rendono tutto molto scenografico, ma per nuotare un po’ bisogna allargarsi. Arriva una barca a motore un motopesca, al timone c’è Sami che insieme ad altri suoi amici sta portando in giro due algerini francesi con le rispettive donne. Si fermano anche loro e si mangia tutti insieme, pasta con le seppie e pesce alla griglia, per i tunisini andare al mare significa mangiare, tutto è incentrato su questo, poi si salpa e trainati dal motopesca andiamo a largo per cercare un po’ di profondità per fare il bagno. Ci fermiamo su un fondale sui tre metri, il fondo è ricco di banchi di posidonia e ci sono tante nacchere (pinna nobilis). Con questo caldo si sta bene in mare sono acque basse ma con forti correnti che variano al variare della marea e nuotando lo si capisce bene e si capisce ancora meglio perché qui si sono arenati tanti navigatori esperti, navigare qui specialmente a vela è veramente complicato. Esce il vento della sera e noi alziamo la vela, salutiamo la barca di Sami dove l’alcol portato dai franco algerini dopo un iniziale euforia ha prodotto un generale letargo e facciamo rotta nuovamente verso l’isolotto di Grimdi, questa volta puntando sul lato opposto a ieri. Arriviamo con la bassa marea e ci areniamo a una trentina di metri da riva, si scarica le tende e si monta il campo, da questo lato “c’è un forte effetto savana “ con la bassa erba gialla e gli eucaliptus striminziti. Questi alberi sono stati piantati qui circa venticinque anni e hanno assorbito quasi totalmente la poca acqua dolce dell’Isola rendendola ancora più desertica. Samir questa sera rientra a casa  e noi saremo i responsabili delle barche e del gruppo, ma in realtà la situazione è più che tranquilla e poi c’è Amor l’uomo del deserto che in mare è sempre sulla difensiva ma a terra ridiventa un leone e ha già preparato il focolare e tirato fuori la teierina da Saharawi, proprio uguale a quella che usavamo noi nei bivacchi sulle montagne del Marocco. Accompagno Samir fino al lato fronte a El Attaya per prendere un’ancora che userò per bloccare la barca quando salirà la marea, la nostra è rimasta a bordo della barca di Sami. Samir recupera un’ancora e poi si avvia a piedi verso l’Isola di Chergui sfruttando la vecchia strada costruita dai romani che con la bassa marea consente di raggiungere l’Isola grande bagnandosi solo fino alle caviglie. Con il pesante “fero” torniamo al campo e passiamo un po’ di tempo a chiacchiera bevendo il the del deserto, poi fisso l’ancora alla cima di bordo e la pianto nel basso fondale e si prepara la cuccia sulla feluca, stanotte si dorme a bordo.