Mavo
Gebraoun
La Tomba di Aoun
Umm al-Maa
Mandara
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Gebraoun il villaggio dei Dawada, i mangiatori di vermi L’umidità dei laghi s’è fatta sentire e stamani la tenda è tutta bagnata, anche la sabbia è umida e porta impresse tante impronte di animali tra cui quelle di uno sciacallo. Qui è più facile incontrarli perché è una zona meno estrema rispetto ai giorni precedenti, siamo infatti nei pressi del Wadi Al-Hayat intorno al quale non si concentra solo la presenza umana, ma anche quella delle possibili prede di questi canidi. Ci incamminiamo sulle dune più alte della zona da cui si vede molto bene l’oasi e l’abitato di Germa e in lontananza il Msak Settafet. Ieri sera Yaya è tornato verso Ubari per sistemare la frizione della macchina che negli ultimi giorni dava problemi e stamani ha mandato Sallah, un suo amico, a sostituirlo. Saliamo sul suo Land Cruiser bianco e partiamo alla volta dei laghi Ubari. La pista cammina nel fondo valle fiancheggiato sui due lati da alte pareti di dune, ci fermiamo in un punto panoramico, seguendo delle impronte trovo la tana del fenec, la piccola volpe del deserto dovrebbe essere dentro, però come mi conferma Sallah, quando si sente minacciato il fenec rimane dentro la tana immobile e quindi è impossibile da vedere. Scavando davanti alla tana per cercare di fotografare l’interno, fortunosamente mi imbatto in un pezzo di uovo di struzzo pietrificato risalente al periodo predesertico, quando anche qui c’era la savana. Il percorso si snoda fra piccole dune dove ci sono anche dei cespugli, man mano che si va avanti il verde diventa sempre più frequente e si iniziano a vedere anche piccoli gruppi di palme. Fino a pochi anni fa questa zona era molto più ricca d’acqua e i laghi erano undici, ma oggi ne sono rimasti solo tre per l’abbassamento della falda freatica causato dall’agricoltura intensiva nella valle del Wadi Al-Hayat. Lo scenario è molto bello con le palme sempre più numerose che addolciscono il paesaggio che però è rovinato dalle tante ruotate di fuoristrada. Ancora qualche chilometro e arriviamo al primo lago, il Mavo, è un laghetto circondato da canne e qualche palma e tutt’intorno le dune, è bello e suggestivo però mi aspettavo qualcosa di più. Dopo soli tre chilometri incontriamo il lago Gebraoun, il più grande, che la guida (stampata nel duemiladue) dice essere settantacinquemila metri quadri. Gebraoun è stata un’oasi abitata da tempi remoti e il villaggio davanti a noi è stato occupato fino al 1995 quando gli abitanti furono costretti dai militari a trasferirsi a Nuova Gebraoun un agglomerato di cemento nel Wadi Al-Hayat, nell’ambito del progetto di modernizzazione del paese voluto da Gheddafi. Qui vivevano i Dawada, storicamente riconosciuti come una tribù che si giovava dell’isolamento della sua ubicazione per conservare la propria indipendenza di cui andavano fieri, la comunità traeva la propria sussistenza dal commercio del sale e dai prodotti dell’oasi e chiaramente non volevano rinunciare neanche alle loro proprietà. Il piccolo villaggio ha un’aria spettrale, l’edificio più affascinante è la piccola moschea con il minareto la cui mezzaluna sul vertice assomiglia a un parco di corna, Sallah non capisce perché mi voglia fermare in questo villaggio abbandonato, però anche se perplesso ci lascia qui e si sposta sull’altro lato del lago dove è allestita una zona turistica e ci diamo appuntamento tra un paio d’ore. Sia la moschea che le abitazioni sono tutte abbandonate e il vento ha portato la sabbia dappertutto, era sicuramente un ambiente molto bello per vivere, all’ombra dell’oasi e davanti a questo splendido lago circondato da canne ed è comprensibile che gli abitanti abbiano lottato per non essere tresferiti nei brutti cubi di cemento della Nuova Gebraoun. Questo aspetto della modernizzazione è uno dei meno edificanti della Libia di Gheddafi e ha anche come disegno quello di disperdere le sacche autonomiste delle tribù più isolate da sempre refrattarie al potere centrale, come i Dawada che vivevano qui e ancora di più come i Toubou che vivono nella zona dei Tibesti al confine col Ciad e che sono ancora oggi perseguitati dall’esercito libico per l’ostinazione con cui respingono la volontà di farli diventare popolazione stanziale. Purtroppo per motivi burocratici e economici non siamo potuti arrivare nella zona dei Tibesti, avrei voluto tanto incontrare la gente di questa tribù che l’inglese Hugh Clapperton, il primo viaggiatore europeo ad entrarci in contatto, definì come “indomita comunità nomade il cui principio di libertà è elevato a livello di anarchia” definizione resa ancora più interessante dal fatto che anche i Tuareg li definiscono duri e solitari. Il lago pullula di vita, ci sono numerose libellule e anche tante zanzare, ma le creature più affascinanti di questo specchio d’acqua sono degli strani animaletti rossi, sono lunghi pochi millimetri a hanno una forma stranissima, mi viene da definirli come dei vermi alati che nuotano velocemente muovendo le loro appendici come dei mantelli. I Dawada erano consciuti anche come mangiatori di vermi proprio perché si nutrivano di queste piccole creature che venivano pescati e cucinati dalle donne del villaggio. L’ambiente è molto bello con la grande duna che si specchia insieme al cielo nelle acque del lago, spostandosi dall’altro lato si trova un campeggio dove si concentrano diversi gruppi di turisti, in totale sono almeno una cinquantina di persone, fa un effetto strano vedere questa gente pallida tuffarsi nelle acque salate del lago. È sicuramente particolare fare il bagno in un lago che sembra uscito per miracolo in questo mondo di dune, ma a me l’idea di tuffarmi in quest’acqua calda e piena di larve non mi attira. Dal lato opposto del lago sotto la duna si trova la tomba di un prestigioso Dawata del passato di nome Aoun da cui l’oasi prende il nome. All’ombra di una tettoia ritroviamo Haroun e Sallah, poco più avanti c’è un gruppo di motociclisti italiani che ha organizzato una specie di gara finalizzata al raggiungimento della vetta della duna più alta. Ci guardiamo un po’ di evoluzioni dei cenauri e poi ci rimettiamo in marcia alla volta del terzo lago l’Umm al-Maa. Lasciato alle spalle Gebraoun iniziamo a risalire una grande dorsale sabbiosa, avanziamo veloci sulle sabbie ripide, lo stile di Sallah è completamente diverso da quello di Yaya, se Yaya è un silenzioso filosofo delle sabbie, lui è soprattutto un pilota di fuoristrada che si diverte a far sfoggio della sua notevole abilità fra salite e discese vertiginose. Fra grandi panorami e sobbalzi arriviamo al terzo lago, lungo e stretto si presenta bellissimo e affascinante, il più bello di quelli visti finora, circondato da una stretta striscia di palme che si specchiano nelle sue acque immobili. Il fascino è enormemente accresciuto dal fatto che non c’è nessun altro, i tour del deserto ripetono tutti lo stesso schema e a quest’ora del pomeriggio si fermano tutti al Gebraoun per passare la notte, qui verrano domattina per poi rientrare a Germa. Anche fotograficamente è un posto favoloso, è proprio la classica oasi che uno si immagina di trovare nel deserto. Ancora un breve tratto per raggiungere il quarto e ultimo lago, il Mandara, anche qui c’è un villaggio abbandonato che ha avuto la stessa sorte di Gebraoun. Qui l’abbassamento della falda freatica ha avuto conseguenze drastiche prosciugando completamente il bacino che ora si presenta come una grande crosta di sale. La risorsa principale del villaggio di Mandara era proprio il commercio del sale che veniva raccolto grazie a un accorto lavoro di regimazione e manutenzione delle acque. L’aspetto del lago è quello di una grande pozza di fango prosciugata ma camminandoci sopra ci si rende conto che si tratta di grandi lastre di sale che si muovono e scricchiolano proprio come un ghiacciaio in movimento. Sotto le lastre c’è ancora acqua ma il destino di questo lago è ormai inesorabilmente segnato, le grandi dune circostanti stanno avanzando sempre di più e probabilmente fra qualche decina di anni sarà soltanto un ricordo. L’ombra della grande duna sta scendendo sul lago e dalle sponde ci chiamano per ripartire. Ancora un’ora fra le dune e poi ritorniamo nella grande valle già percorsa stamani che ci riporta a Germa, sosta per aumentare la pressione delle gomme e poi imbocchiamo la strada asfaltata in direzione di Ubari dove all’officina meccanica ritroviamo Yaya che ha sostituito lo spingi disco della frizione, ci diamo appuntamento per stasera e poi andiamo al campeggio dove passeremo la notte.
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