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Il primo sole ci da la sveglia, ma fa un gran freddo e aspetto chiuso nel sacco a pelo che si scaldi un po&rsquo. Ci sentiamo chiamare, sono due dei “cavalieri” incontrati ieri mattina nella valle di Taarart, sono sorpresi di vederci pensavano che fossimo tornati indietro, loro stanno andando a preparare i ricoveri per le greggi in un grande altopiano dove gli animali pascoleranno per tutta l’estate. Ci danno una mano a smontare e caricare e poi partiamo insieme, raggiunti i loro due muli prendiamo un sentierino che ci consente di evitare il canalone pieno di neve. I muli scendono veloci senza briglie in carovana, prima zizagando sul ripido pendio e poi in fila indiana e Tambone se la cava egregiamente, sembra contento della compagnia. Ci fermiamo alla sorgente a prendere l’acqua che esce dalla roccia, sotto di noi ci sono delle rocce chiare dove l’erosione ha disegnato un grande arco e una serie di piccoli poggioli a forma di dromedario. Arriviamo alla pianura e ci fermiamo dove ci sono delle piccole grotte e un campo di calcio con le porte e i bordi delimitati da linee di sassi. In un attimo accendono il fuoco per scaldare l’acqua e facciamo colazione, pane e the, mi spiegano che i muli torneranno a casa da soli e che loro rimangono qui per qualche giorno, loro sono seminomadi, Amazigh, sono pastori, in passato avevano le tende e si spostavano con tutta la famiglia poi il nonno ha costruito la casa e da allora le donne e i piccoli vivono stanziali, gli uomini si spostano durante l’estate. Ripartiamo mentre Alla e Hammed cominciano a fare dei muri a secco. Rimaniamo d’accordo che se c’è troppo Tagut ci rivediamo in serata. Si sale, il terreno è fangoso per il disgelo e il mulo fatica, poi con l’aumentare della pendenza diventa roccioso, un paio d’ore e siamo sull’ultimo passo, Tattouine e Midelt sono sotto di noi, ma sul lato di tramontana c è troppa neve, lascio Serena e Tambone sul colle e faccio un po’ di supervisioni a piedi per cercare una via, ma poi torno indietro, c’è troppa neve e anche tanto fango e il viottolo cammina nel vuoto, è troppo rischioso per il mulo, sarei tentato di mollare il mulo e di scendere a piedi ma poi decido ti tornare al campo base dei nostri amici Amazigh, mi sembra di essere  Mosè che guarda la terra promessa. Si scende veloci nel terreno morbido fra le pernici che volano verso valle. Visto da qui l’altopiano è enorme, scuro di fango appena liberato dalla neve. Al campo sono arrivati due cugini che hanno portato un gregge di pecore e uno di capre, mentre Hammed è tornato a casa dalla famiglia. Lasciamo Tambone e si va alla sorgente a bere in compagnia di Hussein, il posto e la compagnia sono eccellenti e la delusione per non essere riuscito a sfondare scompare. Faccio una grande corsa in discesa  verso l’arco, Hussein mi segue, è una sfida, vince lui ma di poco, ridendo col cuore in gola gli dico che ha vinto perché io avevo la macchina fotografica che mi sbilanciava, ma lui mi fa notare che le mie scarpe sono molto meglio delle sue, si ride di stanchezza come dopo le infinite partite di pallone da bamboli e poi mi fa un grande complimento, di quelli che quando ci pensi ti ride l’occhi, mi dice che corro sui sassi come un pastore Amazigh. Gli Amazigh sono considerati i più selvatici fra le tribù berbere (e berbero in arabo vuol dire barbaro, selvaggio), probabilmente me l’ha detto per farmi contento e c’è riuscito. Ritorniamo al campo che il fuoco è già acceso, col  piccone  prepariamo un piano perfetto e montiamo la tenda. Scarichiamo le foto nel pc ,esco per fare la legna ma è gia fatta, allora vado a fare il pastore, o meglio il cane pastore, aiutando a portare il gregge verso le grotte. Finiamo che è buio, non abbiamo più viveri, per fortuna che siamo stati “adottati”.  Siamo tutti intorno al focolare con le greggi a cornice nelle grotte, accomunati dalla magia del fuoco, si mangia pane e si beve the. Le piccole teiere (ogni pastore ne ha una) sono tutte sulla brace e a turno si mescia la calda bevanda. Alla si allontana di qualche metro e rivolge la sua preghiera verso la Mecca. E’ una notte  di quiete e armonia, uomini e animali  radunati intorno a una fiamma sotto una volta di milioni di stelle dove non c’è traccia di aerei e satelliti.