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Oggi sarà una giornata impegnativa c’è da attraversare il plateau arid, sessanta chilometri di deserto di pietra sotto il sole.
Lasciata la zona mineraria vicino il villaggio, la pista si perde in mille viottolini, seguendo il consiglio di Said taglio salendo il crinale più alto, sembra di essere dentro un mondo di carta stagnola tutto riflette, ma non è un vero deserto, ci sono piccoli cespugli e tanti piccoli papaveri arancioni. E’ una zona ricchissima di minerale, di tanto in tanto ci si trova sopra a filoni in superficie, incontriamo un branco di asini che sembrano selvatici ci sono tanti piccoli e femmine gravide, dopo un paio di ore il primo incontro un pastore, ci vuole mandare indietro, i sentierini tagliano sinuosi per colline e depressioni in un panorama uniforme e senza sbocchi apparenti, per fortuna che ieri dalla montagna ho visto tutta la zona. Vediamo la prima tenda di nomadi e poco dopo una trincea di scavo con cristalli gialli, dopo poco si incrocia la pista principale dove c’è un camion che stà andando al souk di Midelt, l’autista è di Zeida e mi da una serie di informazioni sul percorso. Ancora un’ oretta e poi incrocio, dove ci lasciamo a destra, le strutture di un’altra miniera circondata da case fantasma. Camminiamo lungo una pista rettilinea dove c’e un po’ di verde e Tambone ne mangia i ciuffi continuamente, si avanza in un deserto di roccia con ciuffi di fienelli e ogni tanto qualche traccia di scavo. Su un cumulo dove sembra non ci sia niente appaiaono due donne e un bimbo, sono stupite e divertite nel vederci e ci invitano a rimanere lì, Zeida è Yagug (lontana), bzef!! (troppo), tafut (sole), non capisco dove abitano, non c’è niente apparte un monte di detriti, le donne hanno il mento tatuato con una linea verticale che parte dal labbro inferiore e termina al centro del mento e due linee puntinate di fianco, prima di salutarci ci chiedono di fotografarle, è un cosa che piace tantissimo, queste foto non le vedranno mai perché qui non c’è indirizzo ma piace l’idea di poter viaggiare anche se solo come immagine. Fa caldo, ma siamo organizzati bene con acqua e the, si prosegue lungo un infinito rettilineo dove nel punto più verde incontriamo una mandria di mucche, finalmente alle nostre spalle sparice la montagna di Aouli, in realtà un altopiano, arriva la deviazione per “barage” , un pastore ci conferma che siamo sulla via giusta, poi troviamo una zona di giunchi dove ci sono due accampamenti di pastori, l’Ayachi è sempre nel solito punto, ma lo sfondo a nord scorre e le nuove montagne si avvicinano. Un pastore con figlio ci dice che mancano 20 km al godron (la strada asfaltata) per essere sicuro che abbiamo capito, telefona al fratello che parla francese che ci conferma la distanza. Con il calare della sera è uscita anche un po’ di brezza, incontriamo un cimitero nel deserto fra grandi rocce granitiche , sembra una necropoli antica, ma in realtà è difficile capire perché anche le sepolture recenti sono fatte alla stessa maniera. La pista è diventata larga, a sinistra in lontananza si vede la polvere dei camion che vanno alla grande diga, poco dopo incontriamo il primo villaggio e un pastore che ci vuole ospitare, cala il sole quando incontriamo i primi piloni dell’elettricità, in una pozza vediamo un gruppo di tartarughe. E’ notte quando raggiungiamo l’asfalto, questa è un arteria importante per i trasporti marocchini. A nord vediamo le luci di Itzer e a sud di Zeida, la nostra meta che ormai dista solo cinque chilometri, che però sono i più antipatici e pericolosi per il buio ed il traffico. Entriamo nel centro di Zeida che sembra Las Vegas è un altra dimensione, luci, musica e tanta gente, lungo la via centrale ci sono decine di ristorantini che grigliano carne di montone, sono le dieci abbiamo percorso i sessanta chilometri previsti, ci fermiamo nel primo alloggio che troviamo, sistemiamo Tambone che nel frattempo si è spolverato il basilico dell’aiola poi si mangia e si va al cyber.
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© 2024 Elba e Umberto
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