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L’animale senza cervello e il misterioso gigante italiano Nella notte il vento ha mollato, oggi si va a cercare spugne. Ci troviamo con Majed al porto, il tempo di titare su la vela e si parte, risaliamo contro vento verso nord fiancheggiando l’isolotto di Grimdi, la feluca è veloce ma soffre lo scarroccio, pesca pochi centimetri per veleggiare sui bassi fondali. Majed è un esperto di questo mare bisogna cercare i canali che la corrente scava sul fondo, la carena sfiora continuamente il fondale e quando canale e vento non collimano bisogna avanzare spingendo con la Karia (pertica). Doppiati un paio di isoltti a nord di Grimdi veleggiamo controcorrente per un’oretta, poi si ancora su un fondo di un metro e mezzo e si va a caccia di spugne. Ce ne sono di vari tipi ma quelle “buone” si trovano dentro i banchi di posidonia e sono difficili da trovare, sono scure, ce ne sono di due tipi praticamente uguali, quelle ricercate si riconoscono al tatto perché sono più morbide e meno viscide. In un’ora ne troviamo solo due, un po’ perché non è ancora la stagione ma soprattutto a detta di Majed per colpa dell’inquinamento dovuto alle piattaforme che facendo scomparire le spugne dal lato orientale di Kerkennah ha spinto tutti i pescatori di spugne in questa zona. Le spugne dice Majed non si uccidono asportandole dal fondo, sono animali ma si coltivano come gli ortaggi, fra un anno dove le abbiamo portate via se non intervengono fattori esterni ci saranno nuovamente delle spugne. Portate a bordo si sgrossano lavandole e stizzandole ributtando a mare il lattice e piano piano acquistano un aspetto più familiare. È difficile pensare che la spugna sia un animale, ma è proprio così è un organismo animale primordiale senza cervello che assorbe il cibo e si riproduce sessualmente. “Testa di cazzo” a pensarci bene può essere anche un complimento, ma “testa di spugna” no, e pensare che la bestia porosa è metafora perfetta del cervello perfetto, quello che assorbe tutto lo immagazzina e poi lo restituisce e invece è un animale senza cervello. Il giovane Ouarda ha cambiato idea sul suo futuro, un amico gli ha proposto di andare a lavorare sulle piattaforme petrolifere nel golfo di Gabes, si guadagna bene e si rimane in Tunisia, alla fine questo ragazzo che odia tanto le piattoforme responsabili della” pollution” che uccide le spugne finirà a bordo del nemico, proprio come uno schiavo al tempo dei pirati che per sopravvivere rinnegava la propria fede e il proprio passato e magari iniziava una nuova vita come corsaro di barberia, ma voi mette’ la differenza fra la vita avventurosa di un filibustiere e quella di un operaio di una piattaforma, magari con una conchiglia gialla stampata sull’elmetto. Andiamo a vedere una charfia a largo ma è messa male le maglie si stanno sfaldando e le nasse sono rotte, ma nessuno la riparerà. È di Hasdi un ragazzo che abbiamo conosciuto qualche giorno fa, da un paio di mesi ha trovato lavoro come benzinaio a Ramla e ha smesso di fare il pescatore, un altro segnale di un mondo che va a scomparire. Torniamo verso terra e andiamo a fare un giro a piedi sull’isolotto di Grimdi dove vediamo una tomba e una serie di cisterne probabilmente di epoca romana, la cosa buffa è che le rovine sono circondate da reti non a tutela del sito ma a protezione dei montoni per evitare che gli ovini ci finiscano dentro sfracellandosi. Troviamo resti di mura e una grande macina di pietra lavica quasi sicuramente di origine sicula. Intorno ai reperti ci sono diversi tentativi di scavo opera di improbabili cacciatori di tesori, ricchezze leggendarie mai ritrovate, da quelle di Annibale che si fermò qui nel 195 avanti cristo quando caduto in disgrazia fu costretto a lasciare Cartagine, a quelle più recenti dei tanti pirati che per secoli hanno frequentato questo mare nascondendo favolosi bottini. Storie romanzate ed esagerate che stimolano a detta di Majed molte persone a intraprendere scavi alla ricerca “dell’oro antico”. Lasciamo l’isolotto dove nel frattempo sono arrivati tanti aironi scuri e riprendiamo il largo verso ponente, mezz’ora di vela e poi bagno e merenda con le nacchere (pinna nobilis) un tempo molto frequenti anche nel mare Elbano specialmente a Galenzana, qui ce ne sono tantissime e a quanto pare stanno aumentando a causa della diminuizione dei polpi che ne sono i principali predatori, poi si rientra a favore di vento e di corrente. In serata andiamo a casa Ouarda dove aiutati da Ali Baba ascoltiamo i ricordi del vecchio Ouarda che ha ottantaquattro anni ma è assai brillante e parla speditamente in siculoarabo. Ci racconta di avventure e battute di pesca del tanto tempo passato sui pescherecci italiani che facevano base a Lampedusa e a Mazzara del Vallo e ci racconta la storia del misterioso gigante italiano arrivato nel ‘38 che si convertì all’islam e imparò l’arabo rimanendo a El Attaya benvoluto da tutti fino alla fine della guerra quando andò via misteriosamente senza dire niente a nessuno. Storie di pesca e di traffici d’armi, i commerci fra la Sicilia e la Libia, l’ombra ingombrante del generale Graziani alla fine della guerra. Nei primi anni sessanta le autorità tunisine sequestrarono quattro paranze italiane e lui mediò la trattativa fra i militari e i proprietari delle paranze sequestrate e come ricompensa fu imbarcato su uno di questi motopesca d’altura della flotta di Mazara del Vallo. Pasquale, Carmelo, Beppe, Caloggero, Pino, Antonio… i ricordi affiorano man mano che parla, ci ci racconta della gente di Lampedusa che “hanno le stesse facce di quelli di Kerkennah” e ci conferma che a poche decine di miglia da qui su un bassofandale di quattro otto metri giace sul fondo un relitto di una grande nave da guerra della seconda guerra mondiale. |
© 2024 Elba e Umberto
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