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I bimbi di Sidi Ahmed e il marabutto mandolino
Sveglia alle quattro, alle cinque primo tentativo di sellare Tambone, sette e mezzo partenza, lo stronzo ha mangiato grano tutta la notte e oggi è in esubero di energia. Lasciamo subito la strada e seguendo la preziosa mappa fatta ieri con l’aiuto di più persone risaliamo una pista dove c’è un gran traffico di ciuchi carichi di spighe di grano, la strada sale verso la foresta che in realtà è una pineta che assomiglia tantissimo ai rimboschimenti delle Piane della Prigione. Decido di prendere una scorciatoia ma è troppo ripida e il mulo perde il carico e si rovescia, Serena s’incazza perché scelgo sempre la via più difficile ma poi m’aiuta a risistemere su il carico, qui la gente non ti corre incontro in aiuto ma rimane a distanza ad osservare. Riprendiamo ma poi devo tornare indietro perché non si sfonda, però la deviazione ci permette di ammirare dei paesaggi grandiosi sulle montagne impervie della regione di Ketama dove spicca la vetta del monte Tidiquin a 2448 metri di quota. Discesa impegnativa, fra pini e scannafossi poi di nuovo la pista fino a Bab Sadra, un ragazzo ci conferma che siamo sulla giusta via e ci indica il viottolo da percorrere. Bab significa porta ed è veramente l’ingresso in un altro mondo, riprovo un po’ le senzazioni del sentiero Bni Krama, Il sentiero sbuca su un crinale e lo segue regalando la sensazioni di “volo”. Si continua a salire mentre compaiono in alto a destra dei picchi di rocce chiare. Il silenzio si inizia a miscelare con il con il canto delle donne che stanno mietendo il grano sui pendii. Vediamo una casa isolata e ci avviciniamo per far bere Tambone, è una casa abitata solo da bimbi, gli adulti sono tutti nei coltivi, i bimbi ci accolgono curiosi e festosi e ci riempiono tre secchi d’acqua che il mulobimbo se li scola a razzo. A poche centinaia di metri dalla casa dei bimbi, incontriamo il villaggio di Lota, incantato e silenzioso, gli abitanti sono tutti nei campi a parte una coppia di anziani, l’articolata spiegazione della signora ci fa capire che siamo vicini ad un luogo bellissimo con una cascata. Incontriamo Mustafà un ragazzo che ci conferma l’esistenza del luogo incantato, si chiama Sidi Ahmed e si raggiunge con un ripido viottolo che porta al fiume, dall’altro lato del villaggio, poi per proseguire bisogna tornare indietro, gli chiedo se posso lasciare Tambone al villaggio ma mi dice di portarlo con me.Scendiamo verso Sidi Ahmed, si aggregano subito tre bimbi che poi diventano cinque, la discesa è ripidissima nonostante i tornanti che si snodano arditi fra mandorli e fichi che ogni tanto sbucano dal terreno arido e pietroso. Scendiamo in carovana verso il fiume, arrivati a fondovalle incontriamo le prime coltivazioni di kif, guadiamo il torrente e attraversiamo una rigogliosa piantagione di cannabis, è evidente che questa pianta ha bisogno acqua, in alto finalmente vediamo la cascata, non è grande sarà alta una trentina di metri, ma è molto scenografica. Sidi Ahmed è un luogo molto bello una macchia di verde che si apre all’improviso nella aridità circostante, dove il fiume disegna un ansa, ci sono delle ampie terrazze ricoperte di prato e all’ombra di un grande gelso, un cimitero di marabutti e poco più in alto una piccola casa dove vive solitario un marabutto cieco che viene salutato con grande reverenza dai bimbi. Mentre noi saliamo alla cascata i bamboli fanno il bagno in un pozzalone in basso. La salita alla cascata è divertente e assomiglia alle lisce della valle del Poio, anche qui c’è un pozzalone e ci facciamo una doccia gelida sotto la cascata. Ritornato sotto il grande gelso vado a salutare il Marabutto che ha un aspetto da grande mistico, con gli occhi spalancati e pieni di sangue, ma quando apre bocca è una delusione atroce “Italiano mandolino spaghetti maccaroni fai cadò al marobu”, faccio un giro intorno per vedere le “coltivazioni” tutte ordinate in saltini e irrigate da canali e poi dopo una merenda a base di more bianche, si risella Tambone che sembra un mulo d’acciaio perché nel frattempo si è rotolato nelle ceneri del cimitero. Con l’aiuto dei bimbi si ricarica la soma e si risale al villaggio. La pendenza è esagerata e a un certo punto L’Asserdun cede e si accascia. Lo faccio riposare e poi si ricarica il bagaglio e si prosegue, se non c’erano i bimbi sarebbe stato un grosso problema. Arriviamo sotto il villaggio che le ombre sono lunghe, da un viottolino alla nostra destra si sente un gran canto squillante e intonato: è un bimbo di tre o quattro anni che indossa una maglietta dell’inter che sta rientrando in sella al suo asino dalla sorgente dopo aver riempito i contenitori dell’acqua. Ci aspetta e facciamo l’ultimo tratto insieme, poi si aggrega anche una bimba che sta rientrando con le capre, entriamo nel villaggio che sembriamo una tribù. Arrivati in paese rincontriamo Mustafà che ci offre la sua ospitalità che naturalmente accettiamo di buon grado. Siamo ospiti,in una grande casa, la più alta del Douar posta sulla sommità del colle in una posizione di dominio nel cuore del Rif, Tambone è legato in un campo di grano in compagnia di asini e muli, Mustafà è molto amichevole, il bimbo canterino è il su figliolo, ed è anche il babbo di due bimbe più piccole. Passiamo la serata parlando del Rif della sua bellezza e delle sue contraddizioni e poi prima di dormire una pisciata sotto le stelle giganti e infinite del Jebel di Lota.
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© 2024 Elba e Umberto
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