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San Bartolomeo di Bishoi del Wadi Natrun
Finalmente si parte dal Cairo, l’idea di lasciare tutto questo rumore e quest’aria sudicia che ti si appiccica sulla pelle e nei polmoni mi mette di buonumore. I cairoti si impegnano adeguatamente per lasciare un pessimo ricordo della loro città, siamo quasi alla stazione dei bus con gli zaini in spalla e mi vengono a richiamare per tornare all’albergo perché c’è un problema non ben definito che poi si rivela un supplemento inventato a mo’ di bashish, chiaramente non corrisposto; e poi con un autiere che per poco più di niente non mette sotto Serena. La stazione dei pullman è grande e modernissima assomiglia a un aeroporto con decine di gate, da qui partono le linee dei pullman che toccano i principali centri nazionali e anche diversi collegamenti con le altre nazioni arabe. Usciti dalla bolgia del traffico la strada dritta che scorre dentro il Wadi Natrun ci porta in tre ore a Natrun City. Questa zona un tempo era famosa per il natrun, un nitrato indispensabile nel processo di mummificazione. Il paesaggio è un misto di deserto e campagna con zone brulle che si alternano a palme da dattero e altri frutti. Si chiama City ma è poco più di un villaggio e si catalizza l’attenzione, specialmente Serena, in breve si fa gente tutti radunati a vedere la femmina senza velo. Per dieci pound si trova un tipo col pick up che ci porta fino al monastero di Bishoi, uno dei quattro monasteri copti della zona costruiti nel quarto secolo dai cristiani per difendersi dalle persecuzioni romane e da allora ininterrottamente luoghi di culto. L’ingresso del monastero è presidiato da un nutrito gruppo di militari armati che però non ci crea nessun problema. Entriamo nel monastero coi campanili sormontati da croci e tante cupole color sabbia, i monaci all’ingresso, barbuti e incappucciati di nero, ci fanno cenno di andare verso la chiesa dove c’è padre Giovacchino, probabilmente ci hanno preso per tedeschi infatti c’è un monaco incappucciato che sta spiegando a un gruppetto di tedeschi le meraviglie del suo monastero. Intanto che i teutonici seguono la loro visita ci togliamo le scarpe e entriamo nella chiesa di Bishoi, assomiglia a una moschea, ci sono le reliquie del santo dentro un sarcofago, i leggii di legno e degli affreschi molto belli in cui sono raffigurati monaci del passato lontano con Gesù e i primi seguaci della fede cristiana, mi colpisce un San Bartolomeo chissà se è lo stesso a cui è dedicata la chiesa omonima sopra Chiessi. Gironzoliamo fra le chiese del monastero, è una struttura che ricorda gli ksour visti in Tunisia, le cupole sono molto belle e ricoperte da pietre che sembrano squame e vengono usate come scale. È un luogo piacevole  e rilassante, silenzioso, sarebbe bello poter dormire qui ma il prelato ormai libero dal gruppo dei turisti ci comunica che questo non è possibile, quindi decidiamo di andare al paese per dormire e tornare domani per dedicare la giornata ai monasteri del Natrun. Come ormai di abitudine i poliziotti ci accompagnano fino al paese dove però non c’è nessuna possibilità di alloggio né di montare la tenda, anche se un po’ a malincuore decido di proseguire. Si parte sul solito minibus sgangherato direzione Alessandria, ormai è buio pesto si viaggia a fari spenti lungo il rettilineo infinito che attraversa la depressione del Wadi Natrun, l’autista camicione, turbante e barba lunga, è tutto concentrato a sistemare e contare i soldi che io e tutti gli altri occupanti gli abbiamo passato, i fanali li usa solo a mo’ di freccia per sorpassare. Il modo di guidare degli egiziani è demenziale, viaggiano quasi tutti a fari spenti e si sorpassano sfanalando e suonando il clacson da destra e da sinistra, le strade sono dei lunghi rettilinei a senso unico e meno male perché con questo sistema di guida, con le curve durerebbero poco. Comunque anche stavolta purtroppo vediamo i resti di un incidente grave con un pullman semidistrutto che si è scontrato con un tir, le lamiere della cabina sono completamente divelte e il campo sotto la strada è disseminato di corpi. Un paio d’ore e siamo alla periferia di Alessandria nell’inferno di un parcheggio di minibus spesso guidati da bimbi, dopo un po’ di trattative e giri a vuoto riusciamo a raggiungere la stazione dei pullman dove con insperata fortuna saliamo sul bus che sta partendo proprio ora per Siwa.

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