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La Corsica Africana
Ormai non c’è rimasto molto tempo, mercoledi’ dobbiamo entrare in Libia quindi l’unica soluzione per vedere qualcosa è noleggiare una macchina. Con una 206 tre volumi si parte, lasciamo Bizerte sotto di noi, dall’alto si vede bene il mare interno del lago bizertino, prendiamo una stradina che ci dovrebbe portare in direzione delle grandi dune viste dal mare nei giorni scorsi. Sono solo pochi chilometri ma è totalmente un altro mondo, lungo la strada non si incontra nessuno a parte qualche asino, dopo un tratto di campagna circondata da colline arate  la vista si apre dall’alto sul panorama costiero che è bello e invitante. La strada asfaltata finisce e proseguiamo verso ovest  lungo una stradina sterrata che porta in direzione del faro di Cap Angela, si incontra solo un pastore con pecore e mucche che sembrano avere il turbante come il loro padrone, per via della corda arrotolata intorno alle corna. Poco più avanti ci fermiamo per affacciarsi sul mare dalla bassa scogliera vicina al faro, è una costa che ricorda la Corsica nella zona del “Dito” con la macchia che arriva fino al mare e le spiaggette di sabbia bianca, sarebbe stato bello fare questo tratto a piedi o in bici, è veramente molto simile ai sentieri dunali di Capo Corso e le mucche pigre che pisolano sotto i lentischi fanno venire alla mente ancora di più la patria di Sanpietrocorso. In lontananza su un promontorio dalla punta spianata  si vedono dei resti che sembrano di un impianto termale Romano. arrivati in zona, cerchiamo di raggiungerli camminando nei viottolini che si arrotolano sinuosi fra i ginepri che hanno trasformato le dune in macchia, poi seguendo le tracce degli asini ci rirtroviamo in un surreale villaggio di pescatori con le capanne costruite di tavole e legni portati dal mare che mi riportano in mente Salek e le baracche di Tarfaya. I pescatori sono arrivati con i ciuchi dai villaggi interni, li hanno parcheggiati e ora stanno aspettando all’ombra delle capanne il momento della cala seduti intorno all’immancabile braciere del the. Ci spostiamo sul promontorio per vedere i resti delle terme romane, il terreno è ricoperto di reperti, centinaia di pezzatti di ceramica che colorano la sabbia bianchissima e dalla punta assistiamo alla pesca con i tramagli che vengono calati vicino alla costa con le barche a remi. Poi si prosegue ma non facciamo tanta strada, all’ingresso di un paesino abbandonato mi insabbio e non si puo’ proseguire. I resti di giacigli e pasti frugali mi fanno immaginare queste stutture precarie come un punto di ritrovo per disperati in cerca d’imbarco, per un futuro da clandestini nella vecchia Europa. Prendo una strada interna piuttosto mal ridotta che sale dentro un bosco di lecci e sughere e poi sbuca in una radura, ci sono alcune case fra grandi distese di peperoncini rossi. Si ritorna sulla strada principale per Cap Serrat, per  rivedere il faro, questa volta da vicino. Un cartello indica la deviazione per il capo, la strada è bella e sull’orizzonte si vede  La Galite, anche qui le piogge hanno scavato in modo impressionante il terreno danneggiando anche il cantiere di una grande diga in costruzione. Siamo ritornati nel mondo Amazigh le donne che si incontrano hanno il volto tatuato e i grandi fermagli d’argento che abbelliscono i vestiti tradizionali dai colori sempre vivaci. Saliamo verso il faro, la strada è messa male ma riusciamo ad arrivare in cima, il panorama è bello ma il faro è circondato da una recinzione e da cani aggressivi e poi c’è il guardiano armato che ci manda via e non vuole che si facciano le foto. Tornando giù si incontrano tante pernici, scendiamo verso il mare e arriviamo sulla grande spiaggia bianca al tramonto, il fiume arriva lento a incrociare il mare formando delle anse sinuose dove gli aironi vigilano sui movimenti dei muggini. C’è una calma ovattata sull’arenile e la luce morbida dona eleganza ai colori vivaci delle barche e delle reti mentre dalla spiaggia rientra un gruppetto di ragazze francesi uniche ospiti del piccolo campeggio dove i ragazzi del posto sono in famelica attesa.  All’imbrunire i pescatori mettono in mare le barche spingendole attraverso il canale insabbiato e poi scompaiono dietro il promontorio.
Il silenzio è interrotto dall’allegro strombazzare di un furgone che sta arrivando con i con i polli da grigliare in onore delle “pollastre” francesi.