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Il padrone di casa ci sveglia alla cinque per la colazione, ci prepariamo per la partenza. In paese c’è grande mobilitazione, stanno arrivando tante donne per la cerimonia luttuosa, è come una migrazione di donne in gruppi famigliari, alcune in sella a asini e muli, la maggior parte a piedi. Siamo controcorrente rispetto alla migrazione delle donne, sembra che vadano ad una festa più che ad un evento luttuoso, alcune fra le più giovani sono vestite in maniera elegante e vistosa e cavalcano con intorno “cortigiane pedestri”, forse vanno a proporsi come moglie dal vedovo che è rimasto solo con quattro bimbi piccoli, sembra di essere dentro un film in costume. Il viottolo diventa pista, poi si svolta a destra e si entra in una valle piena di cedri. Sono i famosi cedri dell’Atlante, questa è la foresta più meridionale, sono alberi giganti padroni assoluti di questa zona. La pista cammina lungo il corso del fiume che la taglia spesso facendoci fare tanti guadi, sul primo costruiamo un”ponte” poi si guada alla meglio. Su un viottolino stretto e ripido, alto sul fiume Tambone si cappotta, per fortuna senza farsi male, bisogna scaricare tutto il carico e portarlo in basso e già che ci siamo si mangia. I cedri sono sempre più grandi, mentre il cielo comincia a farsi minaccioso con grandi nuvole grigie, è da stamattina che stiamo salendo, siamo nuovamente molto alti, ogni tanto si incontrano delle case isolate. Sotto un cielo sempre più minaccioso attraversiamo terre colorate di rosso e di verde, arrivati in cima ad un passo la neve ritorna ad accompagnarci. Veniamo circondati da un gruppo di bimbi apparsi dal nulla, sono spauriti e eccitati hanno gli occhi sgranati e urlano, mi fanno impressione è la prima volta che vedo una cosa del genere sembrano drogati. Il capo avrà una decina di anni, dice di seguirlo ché la strada che ho preso porta nella selva e non a Midelt, insiste delirante che devo seguirlo, pianti, urla, capelli strappati, una scena inquietante e tristissima, arriva un ragazzino più grande sui quindici anni, con fare da bimbo bono e occhi da vile, anche lui ci vuole portare fuori via, lo blocco mentre cerca di aprire il tagrart. Fra scene deliranti andiamo avanti per più di mezzora poi si defilano. Sono rimasto turbato da questi bimbi dagli occhi sgranati in preda ad una specie di attacco epilettico, vorrei capire da cosa erano alterati. Continuiamo a salire, il vento ed il freddo aumentano la drammaticità del paesaggio, finalmente si vede sul culmine della via il villaggio di Anemzi, spoglio e austero è velato dai fumi bassi dei camini che contrastano la morsa di gelo, fra i ripetitivi parallelepipedi gialli delle case spicca e disturba una villa in costruzione con la classica architettura europea. Il sole sta tramontando e c’è una rasoiata di luce rosa molto bella, ci si avvicina un gruppo di uomini vestiti di nero, il più grasso si presenta come presidente del villaggio, sono curiosi e amichevoli, ci vogliono dare un passaggio con il pick up del “presidente” e ci danno un po’ di informazioni, molto confuse per la verità: la distanza da Agoudim varia dai quattro ai cinquantaquattro chilometri, ma sempre nella massima gentilezza. Ci salutiamo rifiutando gli inviti di ospitalità che singolarmente ognuno ci ha fatto e si prosegue. Qui la pista diventa strada asfaltata e inizia a scendere, un ultimo sguardo a ponente verso le vette già incontrate e poi la discesa che ci apre un nuovo magnifico scenario sulle catene del Masker e del Jbel Ayachi. Incontriamo due anziane donne che stanno rientrando in paese curve sotto un enorme fascio di legna, hanno il mento a mezzo metro dalla strada, ma trovano la forza di salutare per prime e di chiedere incuriosite chi siamo, da dove veniamo e se l’asserdoom è nostro. Scendiamo mentre cala la notte, l’idea è quella di fermarsi nel borgo di Bousserfin, che dovrebbe essere a sei chilometri da Anezmi, dove ci dovrebbe essere una gite. Arrivati in paese ci vengono incontro dei bimbi, gli chiedo della gite, mi indica in viottolo in mezzo al nulla che va verso il fiume, decido di proseguire sulla strada. Incontriamo una casa con un cartello di un associazione culturale, busso e mi apre una ragazza che ci offre ospitalità, è una famiglia solare e accettiamo di buon grado. Si scarica Tambone e si entra nella casa dove vivono due ragazze giovani con due bimbi piccoli, un ragazzo, la nonna e il nonno un tipo ganzo, sordo e ridaccione che è contentissimo della nostra presenza. Passiamo la serata guardando le foto del viaggio e dell’Elba che conservo come i preziosi di famiglia nel pc.
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© 2024 Elba e Umberto
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