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Bir Soltane

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Tamezret

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casa troglodita

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Haddej

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Il Marabutto

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Le case troglodite

Inizia a fare giorno ma rimane scuro, ci sono tante nuvole nere che sembrano minacciare pioggia. Partenza lanciata, devo uscire veloce dalla curva secca per superare il tratto di sabbia, fatto!  Attraverso il villaggio dei distributori e via lungo l’interminabile rettilineo dai tanti dossi, lungo la strada devo fare attenzione ai dromedari che sembrano nervosi per l’aria di tempesta e anche alla sabbia sulla strada  che rispetto a ieri è aumentata di molto. Dopo una trentina di chilometri deviazione a sinistra dove c’è una pista che porta al Pozzo di Bir Soltane, un tempo prezioso punto di rifornimento per uomini e carovane, oggi è praticamente abbandonato perché si trova all’interno di una zona militare, dopo poco infatti c’è un isolato posto di guardia dal quale un ragazzo in mimetica con un grande mitra mi ferma ma solo per indicarmi la strada giusta per il pozzo.
E` una mattina fredda e ventosa con le nuvole scure sempre più minacciose, qui a volte passano anche anni senza piovere ma ora stanno arrivando le prima gocce, il pozzo è molto antico ed è coperto da una cupola in muratura, le pietre del pozzo hanno il bordo interno con dei solchi profondi creati dallo scorrere delle corde che per secoli hanno tirato su acqua. Oggi a fianco del pozzo c’è un traliccio che sosiene l’elica di una pompa a vento  che porta in superficie l’acqua per un abbeveratoio e per il vicino corpo di guardia, le pale mi riportano in mente l’aerogeneratore del faro del Giglio. Bir Soltane è solo un pozzo ma è un luogo che evoca imprese mitiche soprattutto guardando le gigantesche dune gialle sullo sfondo che segnano l’inizio del grande Erg Orientale. Ancora dossi e poi la strada principale per Matmata lungo la quale su una collina si incontra il  paese di Tamezret tutto costruito in pietra, è bello peccato che è tutto circondato da cavi dell’energia eletrica. Si vedono le prime case scavate nella roccia, sono le famose case troglodite della regione di Matmata, diventate famose con Guerre Stellari per essere state usate nei vari episodi, queste lungo la strada principale si vede che sono attrezzate per i turisti con tanto di parcheggio davanti, infatti questa è la strada che percorrono i pullman per andare da Jerba a Douz. 
E’ una zona che merita di essere visitata bene ma ora la priorità è inviare a Bizerte la documentazione necessaria per andare a La Galite, breve sosta a Matmata vecchia per cercare senza successo un internet e un fax, poi giù in discesa verso Matmata nuova con lo stesso risultato, quindi bisogna andare a Gabes, grande città sulla costa che un tempo era il punto di arrivo delle carovane transsahariane e importante mercato di schiavi. Oggi è un importante polo industriale petrolchimico che si è sviluppato da quando hanno cominciato ad estrarre il petrolio nel golfo omonimo. Si attraversa una grande palmeraia e poi si entra nell’abitato, il centro è assimilabile a una città europea, andiamo al palazzo della telematica (qui c’è l’università di tecnologia e ingegneria informatica) è un centro grande con computer ultramoderni e ragazze velate con l’hi pod, è il posto ideale per spedire e in poco tempo riusciamo a fare tutto. Si ritorna verso Matmata, dopo il palmeto incotriamo una carovana di asini porta acqua e il grande oued che anche qui porta i segni dell’alluvione, poi quando inizia la salita le prime case troglodite. Mi fermo e iniziamo a camminare verso quello che sembra un villaggio sotterraneo ancora abitato, qualche piccolo cumulo di legna e letame e un pannello fotovoltaico non ci sono tracce, solo terra nuda, ogni tanto si trova una specie di cratere ti affacci e dentro vedi una specie di palazzo scavato nella terra a due o tre piani, la maggior parte sono abbandonati ma tre o quattro case sono abitate anche se ora non c’è nessuno.
Non è roccia è proprio terra e nemmeno troppo compatta, ci sono dei pannelli fotovoltaici che forniscono elettricità a bassa tensione sufficiente comunque per l’illuminazione e per ascoltare la musica che in Africa è comunque una priorità, il pavimento del cortile interno è in terra battuta, le porte sono di legno di palma e le pareti in alcuni casi sono imbiancate con la calce, per entrare nel cortile di ingresso si passa da una specie di arco sotterraneo che difficilmente si vede arrivando.   Camminando fra questi “crateri” apro una porta e mi trovo dentro uno spettacolare frantoio, non c’è nessuno ma è chiaramente ancora attivo come testimoniano le tracce e gli odori. E` tutto scavato nella terra e nella stanza più grande c’è  la macina in pietra con la parte circolare che fa da fondo tutta unta, sopra ci gira una ruota dello stesso materiale che fa perno su un palo verticale posto al centro e viene fatta ruotare  per mezzo di un asse che viene fissata su un animale, tradizionalmente questo lavoro lo facevano i dromedari ma qui le cacate indicano chiaramente che il lavoro duro lo fa un asino. Nella stanza a fianco c’è un altro sistema di spremitura con una pressa che sembra uscita dai cartoni animati dei Flinstones, c’è un foro profondo nella terra dove si inserisce un tronco di palma lungo circa sei metri che con delle corde viene tirato su e sotto si inseriscono dei cesti morbidi bassi e schiacciati a forma di disco che vengono riempiti di sansa, vengono messi sotto il tronco e inframezzati da sassi i tipo calastre, in pratica è una pressa sul principio del “pondo “ arcaico, sistema di spremitura dell’uva il cui funzionamento ho raccontato tante volte durante le escursioni nelle Valli di Pomonte e Chiessi.
E mi ritorna in mente Beppe di Pomonte che quando li raccontavo del viaggio (questo) che volevo fare  mi disse “che te ne fai di parti’ qui c’è tutto, e quello che un c’è c’è già stato basta ricordassi del passato”. 
E` tutto molto affascinante ma anche precario, ovunque resti di case crollate, basta un po’ di pioggia e si scioglie tutto. E` comunque il sistema più logico per abitare questa terra, dove oltre alla vegetazione sono rari anche i sassi, è sicuramente molto più confortevole e fresco rispetto a una casa di cemento, dentro queste stanze si sta benissimo anche perché qui l’umidità non esiste. Ritorniamo verso la strada, le case pozzo vicino sono ormai meta dei turisti, un turismo veloce e superficiale che sicuramente porta qualche soldo ma passa e va, guardo questi pullman che si fermano pochi minuti e poi ripartono, quasi per dire “ci sono stato” , mi rendo conto che io vado piano e ne sono fiero. Il vivere sull’Isola mi ha insegnato a osservare e cercare in spazi limitati, a volte basta percorrere pochi metri per scovare meraviglie. Matmata è vicina ma una strada sterrata a sinistra mi incuriosisce, siamo nella zona del villaggio di Haddej e qui sono ancora molto evidenti le tracce dell’alluvione che nel millenovecentosessantanove distrusse gran parte delle abitazioni, oggi in gran parte trasformate in ovili. Nel villaggio odierno le case a forma di scatola di scarpe in cemento sono  prevalenti e stanno sostituendo quelle tradizionali a pozzo, da qui iniziano i lavori di  un grande stradone in costruzione a breve ci  arriveranno i bus provenienti dalla vicina Jerba, la principale meta turistica della Tunisia, e cambierà tutto velocemente, con gli schivi pastori che si trasformeranno in tanti venditori di souvenir a caccia di facile argent, è un modello di sviluppo che non mi piace, uccide le cose vere, trasforma culture millenarie in spot pubblicitari.
La strada si sviluppa con larghi curvoni sterrati che invitano a guidare di traverso, queste strade grandi che di solito preludono alla distruzione di paesaggi e culture sono perٍ in questa fase intermedia, prima del bitume, un parco giochi irresistibile per chi ama guidare sullo sterrato, quindi ignoro il divieto e entro subito, guido tranquillo ma poi mi faccio prendere la mano e senza rendermene conto finisco per entrare a palla dentro un cantiere attivo, dove finisce la ps. Tornando indietro mi rendo conto che il bordo strada è delimitato da tondini di ferro che sporgono di pochi centimetri dal terreno, se ne prendevo uno bene che andava squarciavo una gomma.
Sulla sommità della collina più alta c’è un piccolo marabutto che domina tutto, ci fermiamo vicino al villaggio per vedere le vecchie case abbandonate e salire fino al santuario, due bimbi ci vedono e si aggregano, si vede che qui bazzicano comunque i turisti perché hanno una gran bramosia di fare le guide,” vien ici, vien ici” nei loro occhi non c’è la curiosità dei bimbi e nemmeno l’orgoglio degli Amazigh, solo il mito effimero dell’argent, quello che rende cupi anche gl’occhi dei bimbi. Passiamo comuque un paio di ore insieme fra case, stalle e santuari trogloditi. E` ormai il tramonto quando alla fine del villaggio incontro una fatina scalza che gioca col fratellino portandolo a spasso con una carretta, non pensano all’argent e ridono felici con gli occhi pieni di gioia come devono essere gli occhi dei bimbi, come dovrebbero essere anche quelli dei grandi. E` il crepuscolo quando siamo di nuovo a Matmata e come un incubo riappare subito la superguidazeccatuttofare che mi aveva già avvicinato stamattina, senza aver ricevuto in cambio la minima considerazione  ma da vero professionista dell’assillo riparte a raffica “cafè? Hotel? Ristorant? foto casa?  foto starWars? io amico benvenuto italia I love you amici Berlusconi giuventus  the best !” Mi esce un vaffanculo baritonale accompagnato da uno sguardo spiritato che dev’esse stato recepito bene  infatti inforca il motobecane e si dilegua.
Con la macchina mi  affaccio per qualche chilometro sulla strada per Tatouine, è un paesaggio inquietante fatto di monti brulli e ripidi qui è tutto friabile, precario, sul mare in lontananza saetta e ci sono le trombe marine e anche sopra di noi le nuvole sono scure e cariche di pioggia, quindi decido di tornare a Gabes per passare la notte. Italica pizza e poi parcheggio vicino al porto in uno slargo lontano dal fiume che mi sembra sicuro.