la nicchia di Al-Kadus
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Ghadames: la casa dei cento specchi, il kadus e la città delle donne Sveglia in stato di rincoglionimento, ieri anzi stamani s’è fatto tardi a internet per inserire un po’ di roba pero’ con risultati scarsissimi. Ghadames era tranquilla anche ieri ma la mattina lo è ancora di più. Andiamo a vedere il museo che è allestito dentro il fortino costruito dagli italiani, proprio davanti all’ingresso della città vecchia, c’è un’interessante raccolta di documenti, qualche bella foto, un po’ di reperti archeologici e dei bei rilievi grafici della città vecchia fatti dagli italiani. Fuori dal museo ritrovo Il sergente silenzio che ci aspetta, non lo vedevo da ieri, da quando ci ha lasciato all’ostello, è dentro la sua macchina astronave con radio computer e telefoni corrazzati, sembra un agente segreto, con solito ghigno sentenzia “tomorrow morning, eight o’clock baggage in the car. Eight o’clock” e ci si saluta. Si entra dentro la città dalla porta principale Bab al-Bur, poi svicoliano da un viottolino laterale circondato da alti muri bianchi di calce, la città è fresca e si sente scorrere l’acqua nei canali. Un piccolo portale ci conduce alla prima moschea, da qui parte la via principale della città che è un camminamento coperto che passa a fianco della moschea, i vicoli coperti sono illuminati da lucernai sul soffitto protetti da griglie in cannicciato, appena di fianco un atrio si apre su una piazzetta senza copertura. La via è un corridoio sinuoso con il pavimento di terra e sabbia battuta su cui si aprono le porte di legno di palma delle case, ogni tanto c’è uno slargo con delle murelle sui due lati che fanno da punto di ritrovo. C’è una porticina semi aperta, nella penombra si sale tre rampe di scale che finiscono in una botola, mi affaccio e sbuco sul tetto, ci sono un muratore e tre manovali che un po’ sorpresi mi danno il benvenuto e mi invitano a salire, la sorpresa diventa stupore quando vedono che c’è anche Serena. Stanno facendo un massetto di sabbia e calce con cui rifiniscono il piano di calpestio del tetto, è un'altra Ghadames estesa e luminosa con un orizzonte a trecentosessanta gradi che spazia su tutti i tetti della città e sulla confinante oasi. Uno dei ragazzi con il benestare del bonario capomastro si diverte ad accompagnarci per i tetti e mi fa tornare in mente di quando facevo il manovale e cercavo sempre qualche scusa per allontanarmi dal cantiere. Ghadames dai tetti è favolosa si cammina fra muretti scale e cornicioni, una volta capito il meccanismo ti rendi conto che è tutto collegato, anzi era perché ormai un po’ di tetti sono crollati, questo era il mondo delle donne che sviluppavano fra questi tetti piatti la loro socialità, una volta alla settimana qui veniva fatto un mercato riservato esclusivamente a loro. Alle donne le vie e le piazze erano interdette, nonostante il ceppo originario della gente di Ghadames sia berbero, qui le donne vivevano praticamente segregate nelle case, in base al rispetto dei rigidi dettami dell’Islam. La struttura attuale della città risale a circa otto secoli ma l’oasi è abitata da molto tempo prima, almeno da tre millenni, ma il primo insediamento di cui si ha memoria storica è Cydamus la Ghadames dei Romani che qui giunsero nel diciannove dopo Cristo. I Romani fortificarono la città e grazie alla ricchezza d’acqua coltivarono intensamente l’olivo, nel sesto secolo sotto i bizantini abbraccio’ il culto cristiano ma nel successivo con l’avvento dell’islam la popolazione si converti’ al credo mussulmano. Ghadames nel corso dei secoli rimase comunque sempre molto indipendente dal poter centrale in virtù del suo isolamento e della sua ricchezza dovuta ai trafficci carovanieri. Ritornati nella via coperta si prosegue nella fresca penombra, Ghadames è un bianco labirinto serpeggiante, una complessa ragnatela di vicoli con il tetto su cui si aprono centinaia di porte, a volte si finisce in vicoli bui e chiusi a volte in piccole piazzette, c’è ne sono diverse e erano i punti predestinati agli incontri e alle decisioni. Numerose sono anche le moschee e le madrasse, senza accorgermene mi trovo dentro una vecchia moschea, c è un canale dove scorre l’acqua che alimenta le sale delle abluzioni, questa parte, e anche la stanza più antica dedicata alla preghiera, è stata costruita sfruttando colonne e lastre dell’antica città Romana ed è collegata a una zona più recente che si apre su un cortile, da cui poi si rientra nella via. La città è molto più viva di quello che pensassi, anche perché la gente preferisce le fresche case tradizionali a quelle in cemento volute da Gheddafi nel villaggio nuovo. Un’altra piacevole sorpresa è che non ci sono turisti almeno per ora, credevo di trovare centinaia di turisti e tante bancarelle nella mitica Ghadames invece è un posto di grande magia e autenticità, anche se la stragrande maggioranza delle case sono ormai abbandonate. Spingendo una delle tante porte di legno di palma con stupore si entra in una casa, dentro è molto grande e si sviluppa su tre piani, è praticamente perfetta si vede che è stata abbandonata da poco, il secondo livello è favoloso: è una serie infinita di nicchie e specchietti, ante colorate, fregi e rilievi nelle pareti e tanti dipinti bellissimi dai colori vivaci, ci sono più scale all’interno che portano in tanti piccoli stanzini in cui si entra da archi sinuosi, ci sono anche quadri e pannelli sempre molto colorati e finemente decorati, ogni piccolo dettaglio è curato anche aprendo le ante più piccole nelle nicchie si trovano decori e disegni molto dettagliati e sempre diversi. Questo era il regno delle donne che vivendo sempre in casa passavano la vita ad abbellire le loro case regalandogli colori sgargianti e vitali in contrasto con la loro condizione molto simile alla clausura, come se tutta la loro fantasia e vitalità fosse concentrata e rappresentata su queste pareti. Ma la cosa più spettacolare sono le decine di specchi murati nelle pareti, ce ne sono di svariate dimensioni e riflettono la luce che viene dal soffitto in tutte le stanze, creando una magia di fasci di luce di diverso spessore che attraversano le stanze in tutte le direzioni dando il tocco finale a questo castello psichedelico dalle pareti di fango e paglia. Oltre che gusto e fantasia ci voleva una grande abilità a posizionare gli specchi per riuscire ad illuminare una casa di tre piani e più stanze con la luce che arrivava dall’unica porta che dava sul tetto. Arrivati sul tetto a terrazza la luce ormai accecante ci abbaglia, siamo finiti in una zona abbandonata ma ancora percorribile, dai tetti entriamo in un altro paio di case simili per dimesione e disposizione alla prima, ma nessuna ne compete in bellezza e magia. Usciamo dal perimetro urbano per fare un giretto nella parte nord dell’oasi dove ci sono delle palme da datteri molto grandi, l’oasi è ancora tutta coltivata ed è ricchissima di uccelli che qui trovano riparo sotto i palmeti, ci sono anche i recinti con le pecore e i pollai. Rientrati nel perimetro cittadino arriviamo nella piazza centrale di Ghadames dove per otto secoli si sono prese le decisioni più importanti di questa comunità. La città è divisa in due zone principali a Nord dominavano i Beni Walid e a Sud i Beni Waziz che a loro volta erano divisi in tre e quattro quartieri interni e aministrati come un villaggio a se stante con tanto di cancelli che venivano chiusi al tramonto. Ogni quartiere di queste zone aveva i mercati, una moschea, una madrassa e una piazza propria, che era il luogo deputato alle celebrazioni più importanti come i matrimoni e i funerali e dove i notabili si riunivano per disquisire le questioni della loro zona. Quando pero’ c’erano dei problemi che riguardavano tutta la città ogni villaggio interno mandava un suo rappresentante, di solito il più anziano, a discutere nella piazza centrale insieme a deputati delle altre sei zone. Sulla piazza principale si affacciano le due moschee più importanti di Ghadames, la Yunis che appartiene alla famiglia Waziz e la moschea Atik legata alla famiglia Walik, si dice che questa sia la moschea più antica della Libia fu edificata nel 666 dopo cristo e rimase pressoché inalterata fino all’undici novembre del millenovecentoquarantatre, quando fu distrutta da un bombardamento aereo effettuato dai francesi che danneggiarono seriamente anche la moschea Yunis di poco più recente, entrambe le mosche oggi sono perfettamente ricostruite. Nel bombardamento furono distrutte settanta case e ne furono danneggiate circa ducento, morirono trentanove civili di cui dodici bambini, come riportato nei documenti che abbiamo visto esposti stamani nel museo. La cosa più interessante di questa piazza per me è l’Al-Kadus, una nicchia ricavata sul fianco esterno della moschea Yunis sopra il canale dell’acquedotto che arrivava dalla sorgente di Ghadames, la risorsa più importante della città. La complessa rete idrica copriva tutto l’insediamento e la gestione del patrimonio idrico era condotta in maniera rigorosa, la priorità la avevano le abitazioni, poi le moschee dove si trovavano anche le fonti pubbliche ed infine i coltivi. Per regimare le acque in maniera precisa nella nicchia a fianco della moschea c’era sempre un adetto che doveva controllare il consumo di kadus di ogni canalizzazione. Il kadus è un recipiente forato che per svuotarsi ci metteva circa tre minuti una sorta di clessidra ad acqua, ogni kadus veniva segnalato con un nodo su una corda e nove kadus facevano una dolmesa, in questo modo si controllava e si regolamentava il consuno idrico. Due aiutanti dell’uomo del kadus aprivano e chiudevano i canali con i sassi assicurando il perfetto svolgimento delle operazioni e a loro volta controllavano il controllore. Il kadus durava circa tre minuti, era il tempo che impiegava il recipiente usato come unità di misura, i kadus erano contati in modo cosi’ regolare che venivano usati anche per misurare lo scorrere del tempo, bastava passare dalla piazza di fonte per sapere che kadus era, grazie a questo sistema Ghadames aveva un sistema di misura del tempo unico e indipendente dal resto del mondo. Mi sposto verso ovest per vedere la famosa “pozza della cavalla” Ain al-Faras la sorgente principale dell’insediamento, cosi’ chiamata perché sembra che fu scoperta dagli zoccoli di una cavalla, la leggenda racconta di una carovana proveniente dal deserto che fece tappa nell’oasi, ripartirono il giorno seguente dimenticandosi pero’ una pentola, uno di loro torno’ indietro a recuperarla e nei pressi del bivacco del giorno prima gli zoccoli della cavalla trovarono la sorgente, da qui il nome Ghadames dall’unione di “ghad” (pranzo) con “ames” (ieri). La pozza è una grande vasca molto profonda, ora è secca perché ci stanno lavorando rifacendone tutto il fondo in cemento, è un lavoro grande che comprende anche tutta la bordatura e sicuramente quando sarà finito sarà molto scenico, speriamo che non discosti toppo dall’originale. Questa era la zona esterna alle mura dove gli stranieri sostavano e dove si fermavano le carovane in arrivo, oggi qui si sviluppa il quartiere più giovane della città vecchia, la Fogas è abitato dai tuareg che abbandonata la vita nomade si sono stabiliti qui a partire dagli anni sessanta. La ricchezza e la fama di Ghadames erano legate ai traffici carovanieri e ai suoi mercanti, in realtà la città eveva un solo prodotto locale che esportava, le pantafolole ricamate, ma per la posizione strategica di punto di sosta quasi obbligatorio nel deserto, e per l’abilità commerciale dei suoi abitanti, divenne un importantissimo centro di commercio, un porto franco in mezzo al deserto dove confluivano e si scambiavano le merci provenienti da un’area vastissima che andava dalla Mauritania, all’Egitto e dal Mediterraneo al lago Ciad, inoltre questi viaggiatori portavano sempre notizie fresche e questo era uno dei posti più aggiornati sui fatti di questa vasta area. I marcanti di Ghadames gestivano i loro enormi traffici senza muoversi mai da qui controllando le merci quando transitavano e affidandosi a una grande rete di emissari. Le carovane dall’Africa interna portavano qui soprattutto schiavi ma anche oro, pietre preziose, avorio e piume di struzzo. Mercanzie che poi venivano inviate verso la costa mediterranea e in parte vendute in Europa, dalla costa magrebina invece arrivavano spezie e oggetti d’arte e tessuti pregiati di provenienza europea. Il periodo d’oro di Ghadames fini’ con l’abolizione della schiavitù intorno al 1840, prima la Tunisia e poi l’Algeria sotto le pressioni europee finalmente misero al bando la tratta degli schiavi e la città perse velocemente il suo predominio commerciale. Troviamo un’altra porta aperta, saliamo dentro una casa parzialmente crollata, pero’ si riesce a salire sul tetto, siamo nella zona sud la zona del casato Waziz, qui a differenza della zona nord, quella dei Walid dove abbiamo visto la fiabesca casa abbandonata degli specchi, hanno cominciato a restaurare, le abitazioni e i tetti restaurati sono tutti scintillanti di bianco candido, anche i camminamenti fra i tetti sono agevoli, giriamo una mezz’ora fra tetti e stanze e poi scendiamo sbucando in uno stanzone che doveva essere un grande magazzino e ora è diventato il deposito di un cantiere. Ritroviamo i vicoli freschi con le panchine, passa anche un gruppo di turisti pallidi pallidi e tutti spellati, mi sposto verso l’oasi questa volta, allontanandosi dal centro i giardini diventano sempre più estesi, la via passa da una piccola moschea con anessa madrassa, è piccola ma armonica ed elegante, il cortile interno è un luogo di quiete, circondato da archi e tante merlature ma tutto il complesso è gradevole. Anche dentro l’oasi stanno facendo tanti lavori di restauro specialmente muri a secco, è il posto dell’Africa dove ho visto fare i lavori più precisi, lavorano con grande padronanza del mestiere lo si vede dalla precisione delle cantonate e da come rifiniscono i lavori con la malta e le imbiancature. L’oasi è molto rigogliosa e ci sono le palme stracariche di datteri, pero’ nella parte più esterna ci sono anche tanti palmeti che stanno seccando, forse la città nuova assorbe troppa acqua. E’ ormai buio quando usciamo dalle mura, di notte è più facile capire quante sono le case realmente abitate, di sicuro almeno una decina mentre la zona tuareg della Fofas e tutta abitata. Da qui rientriamo nella città nuova, la vita scorre tranquilla c’è cortesia senza bramosia, credo dipenda anche dall’impostazione socialista di questa nazione. Come ieri mangiamo nella locanda di un egiziano che tutto contento di rivederci ci rimpinza di pollo, riso e ragù che qui usano principalmente per farcire i panini, visto che gradisco assai il sugo di ciccia me ne offre un piattone a cui naturalmente faccio onore. Poi si va a internet dove abbiamo fatto tardi anche ieri, ci pigliano un po’ per matti ma ci trattano tutti molto bene nonostante le malefatte italiche al tempo di Graziani e le carinerie del meneghino le cui esternazioni sul colore di Obama sono state riprese dai notiziari. Anche intenet è più libero rispetto alla Tunisia dove molti siti erano oscurati, non che voglia tessere le lodi a Gheddafi, che tra l’altro mi ha imposto “silenzio” pero’ è un paese interessante. Sono le tre quando torno all’ostello, l’aria è secca ma fa un gran freddo e la temperatura richiede due pile.
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