Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

 

Stamattina Paglicce è intero come uno stoccafisso, in  questo stato non può partire, andiamo dal “veterinario”  l’ambulatorio è un magazinetto accanto alla moschea con  un po’ di pinze e martelli e un’inquietante sega. Il  dottore gli fa un incisione con una lametta sulla spalla  sinistra e poi un massaggio col sale, un breve collaudo  e dice che è pronto per partire, ma afferma anche che a  Fes non ci arriverà mai è troppo giovane e poi è un  asino di pianura.
Dalla macchia arriva un boscaiolo con un’asina, si ferma  per il cambio ferri, in brevissimo tempo nasce una  trattativa e facciamo lo scambio che sembra accontentare  tutti, faccio il classico giro di prova, battezzo  l’asina Segagnana e si parte.
Mohamed ci saluta affettuosamente, ci augura buon  viaggio e ci raccomanda di farci sempre ospitare dai  buoni mussulmani che incontreremo lungo il percorso.
Prendiamo la strada della montagna, quella che passa dal  Gran Barrage, la strada è asfaltata, ma non ci sono  macchine, per la verità non ci sono nemmeno altri asini.  Segagnana viaggia tranquilla, la strada cammina sul  margine destro di una stretta e profonda valle, dopo  pochi chilometri incontriamo una prima diga che forma un  lago marrone. C’è un gran sole, ma la strada è  ombreggiata da pini d’aleppo, la vegetazione è simile  alla nostra e la terra rossastra, a tratti quasi viola,  ricorda le miniere del riese. Cominciamo a salire in  direzione del Gran Barrage, una delle più grandi dighe  del Marocco, molto importante per la produzione  dell’energia elettrica e per l’irrigazione della  campagna. Vicino alla diga c’è un piccolo villaggio ed  una scuola, qui la strada lascia il lato destro della  valle e attraversa la sommità della grande diga, il panorama a  monte è superbo: c’è un grande lago azzurro in cui si  tuffano montagne rosse e verdi e in lontananza le vette  innevate, è un paesaggio nuovo, ampio e rilassante.  Percorriamo tutta la diga per poi iniziare a salire  lungo una pista contornata da cisto, rosmarino e pini  d’Aleppo, si sale molto fino al passo che sfiora i 2300  metri.
Dal culmine si estende un altopiano dove incontriamo un  anziano pastore con un piccolo gregge di pecore e capre.  A sinistra si apre un grande panorama quasi desertico  dominato da varie tonalità di ocra, a destra è tutto più  verde e lussureggiante con in alto le vette innevate.  Segagnana in discesa ha proprio un bel passo, scendiamo  velocemente tra colline color vinaccia. Arrivati quasi a  fondo valle la campagna si fa coltivata e di tanto in  tanto il verde è interrotto dalle vesti colorate delle  donne nei campi. Incrociamo qualche asino e poi il primo  villaggio che è poco più di un ammasso di sassi e fango,  ma è il comportamento della gente che è molto diverso da  quella incontrata fino a qui: nessuno si avvicina, anzi  le donne e i bimbi scappano come impauriti. La strada,  ormai sterrata, sembra svanire nel nulla, il paesaggio è  molto bello caratterizzato da grandi piante di olivi, a  un certo punto incrociamo un torrente che forma una  piccola cascatella dove una bambina con un contenitore  di plastica tagliato sta riempiendo d’acqua due otri  poggiate sulla schiena del suo asino. Le faccio qualche  foto suscitando l’ira di un bimbo pastore che nel  frattempo è arrivato con le sue pecore. Da qui il  sentiero ricomincia a salire ripidamente, vengo fermato  da alcune persone, uno è il responsabile di zona che è  stato avvisato del nostro passaggio, vogliono sapere chi  siamo, dove stiamo andando e dove passeremo la notte, la  discussione si prolunga, per fortuna mi viene in mente  di tirare fuori il passaporto e si risolve tutto con un  augurio di buon viaggio. Continuiamo a salire tra case  sempre più diroccate da cui si affacciano bimbi curiosi  e spaventati, è una serie ininterrotta di piccolissimi  villaggi. È difficile trovare un posto per accamparsi,  anche perché i pochi pianelli sono tutti coltivati. Il  sole è ormai tramontato quando arriviamo in un villaggio  straordinario, ci sono delle grandi grotte naturali  collegate tra loro, alcune usate come stalle e sopra un  paese abitato di case di pietra. Anche sotto la strada  si intravedono tracce di centinaia di grotte.
A fianco dell’unica piccolissima moschea della zona c’è  un microscopico emporio gestito da un anziano signore  che si sta preparando a chiudere, gli chiedo se in zona  è possibile montare la tenda o se c’è un alloggio per  noi e per l’asino, mi dice di attendere e chiama a fare  da interprete un ragazzo dall’aria sveglia che traduce:  “ ok à la maison!”. Gli chiedo se devo seguire lui o il  negoziante, subito indica l’anziano, poi gli si accende  un lampo negli occhi e mi dice che si va a casa sua, con  due parole spiega il cambio di programma all’uomo e  andiamo. È ormai notte, entriamo nella macchia da un  viottolino stretto e si inizia a salire ripidamente tra  teppe e saltini, oltre a Hammed, il ragazzo traduttore,  ci sono altri due ragazzini che ci aiutano a portare  l’asina carica in salita, in realtà fanno tutto loro  anche perché Segagnana è molto più decisa e ubbidiente  ai loro comandi. La salita dura una ventina di minuti,  sembra di andare verso il nulla, ma quando la macchia si  dirada un pochino una stellata meravigliosa rende tutto  magico. Ma l’atmosfera di sogno raggiunge l’apice quando  arriviamo alla casa, Hammed apre il portone e entriamo  in casa direttamente con la ciuca, scendiamo la shuarì,  poi attraversiamo un piccolo cortile interno e, fra i  tanti occhi incuriositi di bimbi e donne, entriamo in  cucina. Dalla cucina si passa nella stalla delle mucche  e poi in quella del mulo dove Segagnana troverà il  meritato riposo. Hammed mi offre un bicchiere di latte  appena munto, è caldo e denso, sembra formaggio. Mi  sembra di essere in un sogno, il sentiero fra le stelle  è stato come una macchina del tempo, questa è una realtà  che ho conosciuto solo nei racconti e poi è una casa  piena di donne e di bimbi. Ci invitano a scendere nella  sala dai muri disegnati con fregi rossi che sembrano  graffiti, in questa atmosfera da presepe spiccano come  schegge di futuro la televisione con l’impianto  satellitare e una ragazzina con l’I-pod. L’anziana nonna  fa gli onori di casa, ci fa sedere sul divano e ci porge  una morbida coperta, ha gli occhi giovani e due fregi  berberi tatuati sul mento. Ci gustiamo un ottimo the  accompagnato da noci e biscotti insieme a tutta la  famiglia. Gli racconto un po’ del viaggio e dell’Isola  d’Elba, è un modo di conversare molto diverso da quello  a cui siamo abituati, basato più su gesti e sguardi  piuttosto che sulle parole. Hammed è affascinato  dall’Italia, soprattutto dai racconti dei favolosi  guadagni che si fanno in quel paese e sogna di venire a  lavorare in Italia. Io provo a smontarlo con  argomentazioni varie, per un ragazzo che lavorando un  mese da manovale riesce a guadagnare 50 dirham (meno di  5 euro) un lavoro da 1.000 euro al mese è visto come il  paradiso.
Iniziamo a mangiare, un grande tajine ricco ed  invitante, ho fame e mangio tanto, anche la carne che  insistono per farmela mangiare tutta a me. Racconto  dell’emozione del cielo stellato e Hammed mi dice che,  se vogliamo, finito di mangiare facciamo un giro. Prima  di uscire vado a controllare Segagnana e in cucina vedo  che i bimbi e le donne che non erano a tavola con noi,  stanno mangiando i nostri avanzi… mi sento un po’ una  merda.
In compagnia di Hammed e del suo amico Youssein andiamo  a fare un giro per ammirare la volta stellata, saliamo  fino alla sommità della collina dove ci sono le scuole,  tre edifici con le porte aperte. Entriamo a vedere  queste aule scarne, penso a Base Elba, domani cercherò  di capire meglio, ma qui è veramente difficile stabilire  un contatto anche con la posta tradizionale.
Dopo un’ora e mezzo di suggestivo cammino rientriamo a  casa, ci viene data la stanza più bella.
E mi addormento colmo di gratitudine per la famiglia  Jabir “ i signori della reggia fra le stelle”.