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Quando  apriamo la porta della camera la luce è già forte, c’era  attesa per questo momento: subito Hammed entra con due  secchiellini di acqua calda e un asciugamano, io col mio  secchiello sono andato a lavarmi nel pollaio, poi dopo  una robusta colazione partiamo come promesso per andare  sulla vetta più alta della zona. Attraversato il  villaggio diventiamo cinque, camminiamo lungo un  viottolino stretto e sinuoso fiancheggiato dal canale  che porta l’acqua dalla sorgente ai campi, contornato da  grandi mandorli fioriti. Dopo venti minuti di cammino  guadiamo un torrente e andiamo a vedere la bella  cascatella di Imuzar che si tuffa in una stretta gola  rossa.
Continuando entriamo in quella che qui chiamano foresta,  in realtà una macchia di piccoli lecci a cespuglio,  escono tre donne, ognuna delle quali con un enorme  fascio di rami di leccio verde, fa impressione vederle  scendere dalla macchia e poi risalire piegate dal peso  del carico. Salendo si domina sempre meglio la valle  Asif con i dieci piccoli villaggi e le centinaia di  grotte, è un posto bello e sconosciuto inesistente sulla  guida e sulle cartine che ho. Mi appunto una serie di  nomi di valli e paesi per cercare di costruire una  mappa. Salendo incontriamo un uomo che taglia la  macchia, ai lecci si uniscono i corbezzoli che in questo  periodo qui hanno le bacche mature, le piante sono tutte  sofferte, è una macchia bassa e rinsecchita,  difficilmente le piante superano il metro e mezzo di  altezza, anche le bacche dei corbezzoli sono piccole  come le unghie delle mani. Arrivati sul crinale, dove si  incontrano chiusi e caprili uguali ai nostri, c’è un  punto (Sidi Busma) che sembra proprio Monte Orlano. Il  tempo diventa più grigio e fa sembrare più vicina la  neve lontana, arrivati al culmine il paesaggio si apre  sul lago del Barrage con le sue rocce rosse.
Hammed è un tombola sassi peggio di Orestino, quando  vede una cote pendicone non resiste e gli dà la via, una  è passata tra un uomo che faceva la legna e il suo  asino. Scendiamo da una strada diversa e prima di  arrivare al paese incontriamo le donne che lavano al  fosso. Il fosso è il punto di ritrovo delle donne, si  sente un gran chiacchiericcio che si miscela al suono  del torrente nel movimento di colori delle vesti e dei  panni stesi. Continuiamo lungo un sentiero che  fiancheggia il torrente principale ricco di mulini ad  acqua ormai abbandonati, di cui sono rimasti le macine e  i canali forzati. In alto nella roccia sono scolpite  centinaia di grotte naturali, probabilmente abitate in  epoche molto lontane e usate dai guerriglieri marocchini  durante la guerra di indipendenza, sono molto belle e  suggestive, ricche di stalattiti e muschi, alcune sono  sfruttate come stalle. Rientriamo a casa nel tardo  pomeriggio, le donne di casa Jabir hanno preparato un  ricco cous cous apposta per noi. Serena monta l’alto  mulo e con tutto il paese spettatore parte alla volta  della sorgente sicura sul mulo che conosce bene la  strada. Fatto rifornimento la mulerizza riparte pei  viottoli di paese.
Prima di cena guardiamo le immagini della giornata con  tutta la famiglia, tutti vogliono essere fotografati,  faccio un sacco di scatti dove sono tutti seri, sembrano  le foto vecchie della famiglia Segnini che Zia Alvia  conserva gelosamente.
Hammed  tira fuori le scatole con le foto di famiglia, le più  buffe sono quelle del babbo da giovane che sembra Jimmy  Hendrix sulla lambretta; ora il babbo fa il camionista  in una cava lontana e a casa non ci viene quasi mai.  Hammed mi da vestiti del babbo e mi vesto da marocchino  fra l’approvazione divertita delle donne della famiglia  Jabir, i bimbi cominciano a tastarmi la pelata, comincia  sempre così, dopo poco è già una grande battaglia  Jabira, Hadigia, Zaccaria, Houssein si scatenano in una  masa a otto mani devastante, il gioco più divertente è  il lancio in alto con l’atterraggio sul materasso, per  darmi più slancio punto i piedi sulla sponda del letto  ma esagero e la schianto, attimo di gelo e poi si  ricomincia…
Hammed insiste sul volere andare a lavorare in Italia e  mi chiede di aiutarlo, ha bisogno di una famiglia  italiana che lo ospiti in maniera da ottenere il  certificato per uscire dal Marocco.
È una “mezzamestola” ma sarebbe disposto a fare  qualsiasi lavoro, mi spaventa questo entusiasmo, dice  che vuole lavorare per mandare i soldi a casa e poi  tornare, ma a pappagallo, è accecato dal miraggio di  1000 euro al mese, comunque anche la famiglia vedrebbe  di buon occhio la cosa. Penso all’Isola e alla  mediocrità sociale e morale, diretta conseguenza del  benessere portato dal turismo.
Finita la cena arrivano Mohamed il fratello di 23 anni  in compagnia di un importante cugino.
La “mia” camera diventa la stanza degli uomini, la  cucina quella delle donne.
Il cugino è nientepopodimeno che lo sceicco di questa  giurisdizione, è venuto a controllare gli intrusi nei  suoi possedimenti, in realtà è molto curioso e ha voglia  di chiacchierare, parla discretamente italiano perché  prima di “entrare in carica” ha fatto per molti anni il  cameriere in un ristorante italiano a Casablanca,  conosce il nome di oltre venti tipi di pizza e un casino  di sughi.
Mi racconta di italiani coinvolti in loschi traffici che  frequentavano il ristorante e di società miste  italiane/marocchine che “aiutano” a raggiungere l’Italia  e a trovare lavoro.
Si parla di tante cose italiane e marocchine fino a  tarda notte, poi lo sceicco mi da appuntamento per  domattina alla Kasbah di famiglia per colazione.