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Mi sveglio presto e mi avvio sulla strada principale dove passano i bus, vengo subito avvicinato da un paio di procacciatori di biglietti, attendo qualche minuto in compagnia di due donne completamente velate, e di un contadino con una zappa e un enorme balla d’erba, finché non arriva tutto cigolante il bus. Si monta al volo, nel bagagliaio ci sono anche un paio di galline e un tacchino spaurito. Il pullman è pieno e super sudicio trovo un posto fra resti di cibo e vomito secco anche i marocchini di solito impassibili si lamentano del puzzo. Più che un bus sembra una zaccarena, è un azienda famigliare il babbo guida il pullman, un figlio, il più grande, biglietta l’altro carica i bagagli e chiacchiera con la gente e sparge con una bottiglia un po’ di sapone liquido sullo sporco ammontinato.
Dopo un paio d’ore s’arriva a Iznegane è la terza volta che mi ritrovo qui, la solita trattativa sul prezzo, ma questa volta meno insistente, forse sto diventando un po’ marocchino, e poi gran taxi fino ad Agadir.
Il lungo mare è molto “Americano”Albergoni bianchi, Palme e turisti abbronzati .
Mi sposto all’interno lascio lo zaino in un alberghetto nel Talborjtil Quartiere popolare e poi vado a vedere la grande spiaggia. Agadir è completamente diversa rispetto alle altre città marocchine. Un terribile terremoto nel 1960 ha distrutto la città vecchia e la nuova è stata costruita sullo stile di una moderna città occidentale, qui non c’è la medina le strade sono larghe ci sono viali alberati e grandi giardini. Dietro la spiaggia ci sono tanti ristoranti frequentati da europei e ricchi marocchini, qui la gente è vestita in maniera diversa, gli uomini sono vestiti tutti all’occidentale e anche la maggior parte delle donne.
La spiaggia è enorme non finisce, si perde nell’orizzonte verso Sud.
E’ un posto turistico e non mi piace però avevo proprio voglia di mare. Ci sono tante persone diverse su questo arenile, ci sono le donne marocchine vestite in maniera tradizionale e le ragazze che giocano a racchettoni sulla spiaggia col vestitone lungo, turiste europee seminude, ragazzi marocchini con mute piene di scritte che giocano con surf, kite e moto d’acqua, ci sono i poliziotti con la faccia cattiva vanno avanti e indietro con i quad controllando le licenze degli ambulanti e quelli più altezzosi a cavallo che trotterellano fieri riempiendo la sabbia di cacate equine, giusto per dare un tocco di sicurezza e disciplina .
I pomposi stabilimenti balneari sono territorio di caccia dei coreografici cuccadores marocchini che stondano slavate turiste pellancicose, mentre la spiaggia libera se la contendono i “gabibbi” (venditori di frati).
Ho voglia di silenzio, cammino qualche chilometro ma quando arrivo nella parte disabitata la polizia mi manda indietro è zona militare e non si può andare avanti.
Con il fare della sera arriva la bassa marea e la spiaggia si allunga specchiandosi sulla battigia, sulla sabbia vengono disegnati decine di campi di calcio, i ragazzi arrivano sul compatto arenile direttamente in bicicletta per giocare interminabili partite.
La cosa più triste sono gli enormi scavatori e i camion che stanno sbancando per costruire nuovi alberghi sulla spiaggia.
Ritorno in città per andare a vedere il porto peschereccio, è più complicato del previsto, c’è un muro controllato da guardie che divide i due mondi e per entrare al porto bisogna passare un controllo di polizia ed uscire entro le 18 .
Faccio un giro veloce fino al porto dove ci sono le piccole barche stile Tarfaya e tantissimi (centinaia) grandi pescherecci oceanici “Paranze”. I colori scuri dominano tutto, montagne di reti fanno da giaciglio per tanti pescatori accampati sulla banchina, alcune anziane donne preparano il the su un focolare dove bruciano pezzi di staminare marce, appena dietro il muro ci sono le banchine acciaio e cristallo della marina reale, sono poche decine di metri ma qui siamo in un altro pianeta e in un’altra era.
Il tempo è gia scaduto quando torno al di là del muro, pochi passi e mi ritrovo a passeggiare fra europei e ricchi marocchini non posso fare a meno di confrontare l’intensità degli sguardi della gente del porto e la “polpolessaggine”che regna in questo “struscio” marocchino. Chiudo la giornata con una grande mangiata di pesce.
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TagGennaio 2008
Finalmente ho finito, vado a internet convinto di spedire e partire nel primo pomeriggio invece siamo alle solite. Decido di fare un giro per la medina oggi c’è un grande mercato ci sono banchi assurdi c’è anche chi vende i campanelli usati delle biciclette, ma chi fa furore è un venditore di calcolatrici ce n’ha due scatoloni enormi, ha una montagna di calcolatrici nuovissime e le vende a due soldi. Ci sarebbero da fare tante belle foto al mercato, ma le persone non vogliono essere fotografate, le scene più belle sono davanti all’hamman delle donne dove, avvolte in veli multicolori, le grasse signore di Tiznit, pazientemente aspettano il loro turno chiacchierando.
Mi sposto nella zona dei bus per controllare gli orari e mi fermo a mangiare in uno sgangherato locale, chiedo du’ ove fritte, ma il proprietario prendendomi per un morto di fame, mosso da mussulmana pietà, mi regala anche un piattone di verdure e un pezzo di carne. Bello satollo mi gusto lentamente un the alla menta completamente immerso in questo caldo e indolente pomeriggio africano.
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Ho voglia di mare, faccio una gran fatica a rimanere fermo qui ma devo scrivere dei testi e sistemare foto e poi spedire via internet che è sempre la cosa più difficile, ci vuole sempre un sacco di tempo perché la connessione salta di continuo. Faccio un giro per il mercato coperto profumato di spezie e colorato di frutta dove ci sono gli inquietanti banchi dei macellai con le teste decapitate delle capre che ti guardano ad occhi spalancati, il vicolo dei macellai è proprio il reparto cadaveri. Ormai sono di paese quando entro nel mio bar preferito il proprietario mi sorride e senza chiedere niente mi prepara il solito frullatone di banana. Riprovo a inviare, ma non c’è niente da fare, quindi torno a scrivere, sulla via del ritorno converto la voglia di mare in una grande frittura di pesce. | |
Giornata “domestica” dedicata al lavaggio dei panni e ha scaricare le foto. | |
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Mi alzo presto: ho voglia di granito! salgo su un cucuzzolo chiamato Chapeaux de Napoleon che assomiglia a San Bartolomeo visto da Chiessi. Sentivo la nostalgia della roccia regina della mia Isola, poi le notizie che arrivano dall’Elba sono positive sia sul fronte delle Domeniche del Granito che su quello dell’Isola dei Bimbi. Salendo c’è una grotta che sembra quella di Cavoli, invece sotto l’ultimo sperone ci so' dei muri a secco che ricordano “Le Mure” e alcune Coti quasi cilindriche richiamano alle Colonne di Cavoli. E’ un granito come quello del Tambone : quarzoso e senza verso, c'è tanta “Cote Morta” e Sabbione e infatti ci piglio anche un discreto rufolone. Arrivo sulla vetta dopo un paio d’ore, sono salito lento lento godendomi il paesaggio di queste valli e immerso nei ricordi Isolani. Dall ‘alto si domina una pianura praticamente desertica, il paesaggio è biblico mi ricorda il deserto Giordano, scendo a valle e trovo un acquedotto abbandonato come quello che non ho potuto visitare, ma anche in questo non riesco a scendere, però trovo una scala che scende in una grande cisterna anche questa secca, per avere l’acqua da queste parti c’è bisogno di lavoro costante. Tutto va conquistato con grande sacrificio e tutto è assolutamente precario, bisogna avere uno spirito quasi mistico per vivere in queste terre aride. Ritorno alla scuola, la scuola sotto la grande Cote, mi sembra perfetta per la terzo contatto di “Base Elba ” gli insegnanti come al solito si dimostrano gentili e mi danno anche le dritte per raggiungere le rocce colorate. Alla scuola mi hanno detto che dovevo camminare un ora e mezzo per arrivare alle rocce dipinte, è gia parecchio che cammino ma un vedo nulla, è comunque un deserto bellissimo con graniti dalle forme più varie ma a differenza di quello di sabbia è vivo. Ho visto qualche falco, una lepre e delle grandi lucertole gialle, grandi come un lucertolone, velocissime che saltano anche in salita. Finalmente in lontananza scorgo le rocce colorate, prima vedo una cote grande macchiata di celeste, poi altre rocce con colori più vistosi, sono distribuite in un area molto grande più o meno come da Pietra Murata alle Piane della Prigione. E’ un opera particolare realizzata da Jean Verame un eccentrico artista belga che nel 1984 colorò le rocce usando 18 tonnelate di vernice con l’aiuto di una squadra di pompieri Marocchini.Sono curioso di vederle da vicino ma penso anche che se venisse un belga a pitturà le Coti della mi Isola sai che calci in culo….E’ un ambiente che sa di “peyotai” ma è innegabile che sia molto suggestivo, anche se sono soltanto a un paio di ore dal paese, il fatto di essere solo in questo silenzio rende tutto molto suggestivo. Mi piacerebbe aspettare il tramonto per vedere come cambiano i colori ma devo rientrare in paese. Ritrovo il mio “socio“ e lo vedo strano, dovevamo andare a Taurodannt ma dice che non ci si può andare perché ha problemi con una banca e che andiamo ad Agadir. Mi chiede anche dei soldi, dice che ha problemi col babbo, la mamma e il fratello, decido che è ora di dividersi. Anche se avevo intuito che era un tipo strano, ci rimango male, per rilassarmi guido veloce lungo la sdrada tortuosa che conduce a Tiznit, l’ultimo tratto ricco di dossi è particolarmente divertente, inizia la campagna coltivata e poi il paese, ci salutiamo in questa cittadina dall’aria rilassata. Tiznit ha una grande cinta di mura che circonda la medina e una piccola villa nouvelle a fianco, il clima è eccelente, si sente l’influsso del mare, mi sistemo in un alberghetto e decido di fermarmi qualche giorno per mettermi in pari con testi foto e mail varie. |
Giornata passata quasi interamente a scaricare le foto e a cercare di rispondere alle richieste che arrivano dall’Isola e dai giornali via Mail. In serata mi concedo il piacere del the nella piazza che si ravviva col fresco della sera, ci sono centinaia di ragazzi che giocano a calcio esaltati dalla recentissima vittoria del Marocco nella prima fase della Coppa d’Africa.Mentre rientro vengo avvicinato da tipi loschi che mi vogliono vendere droga, si avvicinano a botta sicura e ci rimangono malissimo quando vedono che non me ne frega niente. | |
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All‘alba mi sgranchisco con una passeggiata fra le piccole dune che regalano sempre disegni magici poi, arrivato a Zagorà, faccio un giro nel grande palmeto dove l’irrigazione è controllata in maniera capillare. Qui sono tutti preoccupati perché che grande siccità e il Naaghlaa , cosi si dice palmeto in arabo, è l’unica risorsa, l’alternativa è andare via. Sulla strada per Quarzazate si passa per il paese di Agdz dove facciamo benzina e poi risaliamo il deserto roccioso arrivando e sfiorare i duemila metri del passO di Tizi-n-Tinififft, sui crinali ci sono molte piccole fortificazioni miliari costruite nei primi anni '80 quando erano più caldi i fermenti legati al movimento del Polisario. Sono zone aspre adatte alla guerriglia, qui anche i francesi hanno avuto grandi problemi durante la loro guerra di “Pacificazione”. Pacificazione, normalizzazione, corpi di pace, ci sono sempre termini “ecclesiastici” intorno a queste guerre dal sapore coloniale, quel che è certo è che le popolazioni nomadi sono molto difficili da controllare e qualsiasi stato “moderno” cerca di smantellare queste comunità dalla forte matrice anarchica. Superato il passo di Taourirt, da dove si domina l’omonimo lago, la strada si precipita dentro l’abitato di Quarzazate. |
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Lasciata la valle del Todra il paesaggio torna desertico, sullo sfondo le montagne del medio Atlante che fra qualche giorno attraverserò. il deserto è roccioso ma ogni tanto il vento accumula un pò di sabbia sulla strada, sono zone estreme dove è già difficile sopravvivere. In passato i villaggi delle oasi traevano sostentamento dal sostare delle carovane che attraversavano il deserto trasportando sale, schiavi e altre merci. Oggi queste sono scomparse e i palmeti, anche per la siccità e per la malattia del Bayoud, stanno morendo.
Nei pressi di Erfoud , a fianco della strada, ci sono una lunga serie di cumuli di terra bianca, come tanti piccoli vulcani, ci fermiamo, si tratta di pozzi di ispezione dei vecchi acquedotti ormai abbandonati.
Ci sono delle lunghe file, almeno cinque di questi vulcanetti di fango secco, uno ogni 20/25 metri, alcuni hanno ancora, sopra l’imboccatura, degli argani di legno. Davanti ai “crateri” due ragazzi con una tenda aspettano eventuali visitatori, il più grande dei due fratelli è un diciottenne, ha l’istinto della guida, si vede che gli piace spiegare , non parla come un registratore e si sforza perché vuole farti capire. Mi spiega, anche attraverso disegni, che i canali servivano per portare l’acqua alla vicina oasi e i pozzi servivano per ispezionare e pulire i canali dell’acqua che si insabbiavano continuamente. Dall’oasi traevano la sussistenza le tribu Berbere, Beduine, Tuareg e Nomadi, e siccome fra loro non correva buon sangue, ognuna aveva il proprio acquedotto.
I canali sono lunghi circa 25 chilometri ed i pozzi più a monte sono profondi oltre 35 metri, poi degradano fino a 0 all’interno dell ‘oasi . Ora sono tutti secchi, sono stati abbandonati una trentina di anni fa quando hanno fatto i pozzi con le pompe all’interno dell’oasi per l’agricoltura e per portare l’acqua nelle case. Questo nuovo sistema ha portato però all’abbassamento della falda che ha fatto seccare tutti i pozzi antichi.
Chiedo se si possono visitare gli antichi acquedotti, gli si illuminano gli occhi e ci spostiamo verso un cratere, lui si cala velocemente nel pozzo, io scendo qualche metro, poi visto il continuo franare e l’inconsistenza del terreno decido di rinunciare e risalgo non senza difficoltà.
Dopo qualche minuto risale da un altro pozzo, gli chiedo se esiste un pozzo più semplice ma la risposta è negativa, allora gli chiedo se possiamo entrare dall’oasi, questo è possibile, però Houssain mi smonta subito, per ispezionare il sottosuolo ci vogliono permessi speciali, specialmente se sei straniero perché se succede qualcosa sono guai seri anche per lui. Ci mettiamo d’accordo per andare domani dalla polizia a chiedere l’autorizzazione.
Rimaniamo d’accordo per vederci domani, oltre all’acquedotto mi ha parlato di scale che scendono verso un lago sotterraneo, sono curioso anche perché di questo non so assolutamente niente .
Proseguiamo in direzione Meurzouga , fermandoci a Rissani per vedere un po’ di fossili di cui sono ricche le montagne scure che ci disegnano l’orizzonte.
La zona è veramente interessante, solo che i berberi con la loro mania di commercio e abilità artigianale taroccano tutto, e quindi diventa difficile capire cosa è vero e cosa è falso: ci sono tantissimi ammoniti, trilobiti, alghe e calamari fossili, ma anche alcune vere e proprie sculture di dimensioni assurde, ma il massimo del tarocco sono i bellissimi scheletri di dinosauro in cemento.
Finalmente arriviamo a Merzouga famosa anche per una delle più spettacolari prove speciali della Parigi Dakar, la pista sabbiosa che porta alle dune invita a “strinà" ma m'aguanto.
Le dune appaiono all’improvviso, alte e imponenti, come un miraggio giallo ocra, è il vero deserto di sabbia l’immagine iconografica del Sahara.
Arriviamo che la luce inizia ad essere proprio quella giusta per bivaccare nel deserto, entrando da qui bisogna appoggiarsi alle guide, mi sento un pò in ostaggio ma la situazione è questa. Pago il cammello e la guida poi, lasciata la base, scendo di sella e inizio a vagare fra le dune sono nel posto giusto al momento giusto, tramonta il sole e la luna grande sale nel cielo, tutto assume tonalità calde e cangianti con le ombre sempre più ampie che disegnano scenari surreali.
Ormai è notte ma ci si vede benissimo, dalla duna più alta si vedono le luci delle postazioni militari marocchine e algerine alla frontiera divise da una zona cuscinetto. La chiusura della frontiera ha costretto le tribù nomadi a cambiare stile di vita. Questa gente viveva spostandosi continuamente con le greggi, fra le zone con un minimo di vegetazione, in maniera da preservare il delicatissimo patrimonio di stentati cespugli che il deserto offre. Ora non potendosi più spostare liberamente si sono dovuti adattare a vivere negli agglomerati urbani , spesso ai margini, accampati nelle tende tradizionali.
Arrivo al campo dopo tre ore scendendo di corsa da una duna alta almeno 150 metri che è notte piena, so così contento che rido da solo e mi metto a giocare a pallone con il ragazzo Berbero mascherato da Tuareg che mi doveva fare da guida e i bimbi che vivono nell’accampamento, una partita di calcio in notturna con l’illuminazione della luna.
L’arrivo di un grande gruppo fa finire la partita. E’ una carovana con 10 cammelli che trasportano tre coreani, due studentesse brasiliane,un olandese, un'americana con una guida personale, e una coppia di ragazzi veneti. Vengono assegnate le tende mentre nel forno a legna stà cuocendo il classico tajine. Si socializza, tutti sono combattuti da cosa vedere nei pochi giorni che rimangono in Marocco. Mi compiaccio in silenzio di non avere scadenze.
Mi fa strano vedere che qui portano le forchette per mangiare il tajine, esasperate dalle continue attenzioni moleste subite a Marrakech le due brasiliane fulminano con uno sguardo assassino il mio amico mascherato che voleva solo porgergli il pane. E’ una notte bellissima, senza vento, con la luna grande e tante stelle, ho voglia di fare un giro, lo propongo agli altri, l’olandese e gli italiani vengono, senza rendermene conto mi ritrovo a fare la guida nel deserto. Dopo un'ora di dune e stelle si torna al campo scendendo dalla grande duna, i berberi hanno acceso il fuoco e suonano piccoli tamburi. Poco alla volta vanno tutti ha letto e mi ritrovo a parlare con Kounta e l’Olandese. Kounta Mobarek è il capo carismatico, comanda tutti con lo sguardo, subito non gradiva tanto il fatto che fossi arrivato al campo da solo, ora però è affabile e ha voglia di parlare. E’ Berbero di Mourzoga ha 30 anni e lavora da 10 con i turisti, prima lavorava alla montagna nera a cercare fossili insieme al su babbo e ai suoi fratelli in origine erano una famiglia di pastori. Questo lavoro gli piace, gli permette di stare nel deserto e si guadagna bene. “E’ un lavoro in crescita” mi dice “vengono sempre più turisti” loro sono 6 guide e lui è quello con più anzianità di servizio, però ci sono anche altri gruppi, i cammelli sono del gestore della pensione da dove siamo partiti e sono un gran capitale – un cammello vale circa 10000 euro – oltre al Berbero e all’ Arabo , parla bene il Francese e l’Inglese ma se la cava anche con lo Spagnolo e l’Italiano. Mi spiega che la frontiera è chiusa da 6 anni e che nel deserto di Erg Chebbi ormai vivono stabilmente solo150 persone, che i bimbi che vivono qui non vanno a scuola perché è troppo lontana. Questa è l’unica famiglia che ha contatto con i turisti, le altre che sono accampate all’interno vivono solo con quello che ricavano dalle bestie. Mi dice che lui dorme fuori vicino al fuoco, con il legno vicino così controlla tutto e se arrivano i nomadi dall’Algeria a rubare i cammelli da l’allarme, ma si capisce bene che non c’è nessun pericolo, gli racconto un pò di me, del viaggio che voglio fare e del lavoro che facevo, gli racconto che anch’io quando facevo i giri isola dormivo sempre fuori, si per controllare tutto, ma in realtà perché è più pratico, la mattina basta alzarsi e sei già pronto, ma soprattutto è più bello, è un peccato essere in posti belli sotto le stelle e poi nascondersi dentro una tenda. I turisti in realtà sono quelli che ci permettono di vivere questi privilegi portando anche dei soldi alla famiglia, si dice condividendo il concetto, grazie ai turisti possiamo vedere le stelle come i nostri antenati. Lascio Kounta al suo giaciglio accanto alla brace e me ne torno verso la grande duna . Mi sdraio, il deserto è un mare che ti ci puoi sdraiare, è un posto perfetto per pensare specialmente di notte: mi ritornano in mente i racconti dei vecchi pescatori Ponzesi che per raggiungere la Sardegna dall’Isola natia con le loro barche a remi, aspettavano la notte per ricevere la rotta dalle stelle. Penso a quante volte mi sono addormentato guardando il cielo, e alle grandi religioni che probabilmente sono nate nel deserto in nottate come questa. |
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Al mattino colazione da nababbo: burro appena fatto, cosi bianco che sembra panna, marmellate fatte in casa da spalmare su crepes appena sfornate, latte condensato e nescafe da sciogliere nell‘acqua calda, omelette e the alla menta.
Arriva Houssain e si parte, si scende da un viottolo ripido ripido, provano a staccarmi e mi devo impegnare per tenere il passo. Prima di lasciare Imlil andiamo a scuola per il secondo contatto di “Base Elba”. La scuola è piccolissima e fredda, in pratica un prefabbricato e i bimbi sono tutti infagottati, l’insegnante è una giovane ragazza che parla francese e mi dice divertita che è tutto chiaro perché parlo molto bene con le mani.
Iniziamo a scendere verso il fondo valle, poi la pianura si distende permettendo di ammirare l’imponente catena dell ‘Alto Atlante dominata dal monte Toubcal. La pianura è fertile e tutta coltivata. Iniziamo a salire, lungo la strada tante persone che cercano di vendere minerali con degli spettacolari cristalli rosso sgargiante, che a quanto ho capito non esistono in natura e vengono prodotti artificialmente. Credo che qualche mestierante del settore ci sia anche all’Elba. L’ultimo tratto sale con spettacolari tornanti stile Stelvio fino al passo di Tizi n’Tichka a 2260 metri di altitudine, scendendo verso ovest il paesaggio cambia notevolmente, le rocce diventano rossastre e poi rosse e le case sono tutte di Pisè (fango e paglia). Si fa fatica a capire cosa è abitato e cosa no, è difficile anche riconoscere una casa da una stalla.
L’ambiente è molto arido e le capre pascolano distanti fra loro perchè i piccoli cespugli sono sparsi fra le rocce, si incontrano donne con carichi enormi di legna sulla testa, fanno chilometri e chilometri per recuperare il combustibile da utilizzare per cucinare e scaldarsi.Arrivando al fondo valle il paesaggio, pur essendo sempre arido, è ricco di campi coltivati che sfruttano l’acqua originata dalle nevi delle vicine vette, fa strano vedere contemporaneamente la neve e i datteri maturi sulle palme. Prima di entrare a Quarzazate si incontrano i famosi studi cinematografici (qui hanno girato tanti film famosi da Lawrence d’Arabia, a Il the nel deserto e il più recente Il gladiatore) con pacchianissime finte statue egizie all’ingresso.Quarzazate fu costruita dai francesi negli anni 20 come avamposto militare ed è famosa perché ha ospitato la legione straniera.Come impatto non è un gran che, una serie di case in cemento sui lati della strada principale. Sono affascinato dalle officine sono sempre affollatissime, per via delle strade e del parco macchine datato, i meccanici sono bravissimi e trovano sempre una soluzione, magari non la migliore ma il problema lo risolvono. I ricambi scarseggiano e quando si rompe qualcosa spesso si costruisce il pezzo di ricambio , di solito i braccetti delle sospensioni vengono sostituiti con le balestre , non è raro vedere macchine con una balestra da un lato e braccetto dall’altra, si adattano semiassi e cambi di modelli diversi, i carrozzieri usano tanto il legno sopratutto per gli specchietti retrovisori e ritagliando i contenitori di plastica del detersivo fanno le pale per le ventole dei radiatori. Ho visto una Renault 12 col pianale di legno e la sospensione posteriore in ferrotubi. Faccio una passeggiata fra i campi , il terreno è scuro e fertile qui vicino c’è un lago artificiale che alimenta l’acquedotto della città, un tubo si è rotto e i contadini prontamente hanno fatto una serie di solchi per irrigare i campi. La maggior parte delle persone si sposta a piedi, si vedono tante piccole sagome che si perdono nella campagna al tramonto illuminate dalla luna quasi piena.
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Colazione-pranzo con una Corvina fritta e poi escursione sulla grande spiaggia. È un concetto strano di spiaggia, è il deserto che incontra il mare. Qui il concetto di erosione del mare è distante, è la sabbia, il deserto che avanza. Tarfaya come tutti gli agglomerati sahariani è circondata da mura per difendersi dalla sabbia.
La bassa marea cambia profondamente il paesaggio, l’oceano sembra allontanarsi e si forma una specie di grande laguna dove i gabbiani banchettano mangiando pesci e molluschi traditi dal rifluire del mare. Ci sono spiaggiate delle seppie giganti lunghe fino a 40 centimetri, il sole è caldo ma si sta bene per via del vento sempre costante, andando verso nord si intravede la sagoma di un relitto, avvicinandosi ci si rende conto che i relitti sono almeno tre tutti traditi dai fondali sabbiosi e dalle luci ingannevoli del paese.
È sera quando si rientra in paese. Ormai siamo conosciuti, i vecchi ci parlano in spagnolo, i giovani in francese. Ci sono tanti militari che qui sembrano più che mai inopportuni, siamo comunque in una zona di confine giovane dove la “marcia verde” da molti e stata vissuta come un invasione straniera.
Vado all’internet point, la piccola Tarfaya ne ha tre. Inizio la solita battaglia con la tastiera araba e non riesco ad inviare niente.
È un posto particolare questo Internet Point: ci sono ragazze sempre rigorosamente velate e molti ragazzi che sembrano studenti della Madrasa di Fes, è un luogo di studio più che di comunicazione. |
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