papaveri e kif
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Selvaggio Rif Davanti a tutta la famiglia carichiamo Tambone che fa un altro piccolo rodeo. Solite foto di rito e poi scendiamo verso la sorgente guidati da due bimbi sui ciuchi che ci accompagnano fino al fosso dove si fermano per andare a lavoro. Si sale ripidamente fra campi di grano, si scende e si risale puntando come ci aveva detto Mustafà ai campi di grano alti, poi arrivati al culmine si scende cambiando versante, qui c’è una macchia bassa di lecci e lentischi ed è tutto più verde. Incontriamo una cascata che si tuffa un una stretta gola dalle pareti rosse, superata la cascata il viottolo incontra in fiumiciattolo, è un posto bellissimo l’acqua è trasparente e intorno prati e grandi alberi dai tronchi possenti, anche qui tanti terrazzamenti coltivati a kif alternati a patate, piselli e pomate. Chiedo conferma sulla via e due uomini che stanno preparando una vasca per irrigare, mi confermano che siamo sulla strada per Jbel, si prosegue su un sentiero circondato da kif papaveri e grano, piante che stagliano i loro colori netti nel cielo azzurro in un collage armonico ma deciso di toni cromatici senza sfumature. Si risale allontanandosi dal fiume il kif scompare, incontriamo delle bimbe che stanno raccogliendo l’erba per gli animali, hanno gli occhi grandi e curiosi e sono bellissime, sono combattute fra la voglia di vedere le foto e la paura di avvicinarsi, sono tre, la più grande avrà dieci anni ha già i capelli nascosti da una pezzola e porta un enorme fascio legato sulle spalle, ha un sorriso dolce e fare materno. La mediana, più piccola di un paio di anni, porta il fratellino sulla schiena e poi la più piccola, timorosa e curiosa che sbuca furtiva dal fascio della grande, ha occhi grandi e profondi che illuminano un viso da fatina incorniciato da una cesta di capelli vaporosi e ribelli, non avrà nemmeno cinque anni ma usa una falce da adulto più grande di lei, è vestita con un fiabesco vestito azzurro, non sorride, è elegante un po’ altezzosa e fiera come una principessa delle favole. Poi prendono un viottolino e raggiungono veloci il douar di Jbel dove annunciano il nostro arrivo. Jbel è un villaggio a fianco di un fosso ombreggiato da grandi alberi, le case sono in muratura e circondate da recinti con polli e conigli, anche qui essendoci acqua il kif è rigoglioso, attraversiamo una piccola giungla con piante alte due metri, risaliamo il fosso avvolti nell’aria intrisa dal profumo denso della canapa e poi ritroviamo un viottolo ripido e pietroso che si inerpica friabile su rocce scure fino ad incontrare il villaggio di Toufa dove ritroviamo la strada asfaltata. Chiedo informazioni su come raggiungere Targuist dai viottoli, ma mi dicono che esiste solo il godron. A Toufa c’è la scuola, attiriamo l’attenzione del maestro e dei bidelli, iniziamo a conversare davanti all’immancabile the e alla fine viene fuori un nuovo contatto per “Base Elba” e la rotta via viottolo. Lasciamo il villaggio e iniziamo una discesa ripidissima fra campi di grano su pendii impossibili, ci sono centinaia di viottolini che si diramano in tutte le direzioni e disegnano una ragnatela infinita e sinuosa come l’ombra dello sciapichello sul fondo del mare. Non c’è vento e fa tanto caldo, è tutto molto brullo, ci sono un po’ di mandorli e qualche fico per il resto solo grano, cardi e erba secca. Le zone umide si riconoscono da lontano per il verde intenso dei campi di kif che da lontano sembrano le macchie di felci che colorano di verde intenso la montagna Elbana d’estate. L’ultimo tratto di discesa è a tornantini e si tuffa nel oued a fondo valle dove si materializza come in un miraggio il piccolo douar di Abakhtine. Con l’acqua ritroviamo il Kif e Tambone se ne fa una scorpacciata, il villaggio è bellissimo con le case tutte in pietra, sembra disabitato, ma appena provo ad entrare si materializzano gli abitanti che non ci fanno entrare, l’unica cosa che vedo è tanto kif essiccato, ci fermiamo sotto una veranda in compagnia di bimbi e ragazzi che si sono radunati intorno a noi, mi chiedono se trasporto haschish e di stare attento alla polizia. Chiedo se ci possono dare qualcosa da mangiare perché abbiamo fame e sono curioso di vedere il villaggio da dentro, ma nel villaggio non si entra. Dai campi arriva un ragazzo tutto nervo, dagli occhi scintillanti che si chiama Abdellati e si atteggia da leader. Si parla un pò e poi ci invita a casa sua, attraversiamo una rigogliosa piantagione di kif e poi iniziamo a salire l’altro versante. Poche centinaia di metri sopra il “villaggio proibito” un gruppo di tre case, finalmente liberiamo Tambo dal carico e lo lasciamo al fresco a mangiare spighe di grano, mentre noi andiamo alla casa di Abdellati. Si entra da un portone verde dove ci accoglie Saufian, il fratello minore, è una casa grande grande, siamo in una spaziosa corte pavimentata a boiacca, sulla destra c’è la cucina, poi si sale tre scalini e ci sono altre stanze, noi si entra nella sala dove c’è un tavolo due divani e la tv satellitare, c’è anche un finestrino da dove ci spia la sorellina. Rispetto alle case dell’Atlas è una reggia. Fatima, la mamma, ha preparato un pranzo energetico, “quello che ci vuole quando si miete” a base di lenticchie, uova e mandorle e tanto the. Passiamo un’oretta piacevole con la famiglia e poi si riparte. Tambone è in forma, si arrampica poderoso con il carico e Serena in sella, saliamo un sentiero a tornanti che ci porta sulla pista che fra breve diventerà una strada asfaltata, che porta al passo di Tizi Tfri. La strada è ampia e liscia con tornantoni, siamo avvolti dal silenzio ma nel cervello mi suona il rombo poderoso del dino ferrari della stratos gr 4. Come un miraggio si materializza un bar con l’immancabile pubblicità della cocacola, arriva sempre appena c’è una strada carrozzabile, non manca mai all’appuntamento, più scaltra della nera signora di Samarcanda cantata da Vecchioni. La strada larga continua a salire, ora circondata da estese piantagioni di kif che, contrariamente a quello che pensavo sono più numerose nelle zone toccate dalle strade. Si sale tanto, siamo ormai sopra i duemila metri, in lontananza si vedono le foreste di cedri. E’ ormai il tramonto quando arriviamo in vetta oltre i 2200 metri, siamo dentro una grande foresta di cedri non enormi come quelli dell’Atlas ma comunque imponenti ed eleganti. Montiamo la tenda nei pressi della vetta su un prato circondato da cedri e grandi Coti che ricordano “Grotta a le Pecore”. Più che un posto pericoloso, terra di ladri e trafficanti, mi sembra un eden, ci godiamo le tante stelle davanti alla brace dove ci siamo preparati il the secondo gli insegnamenti dei pastori Amazigh, che più tempo passa più li ricordo come miti, mentre in lontananza a nord si vedono le luci di Targuist.
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