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Sveglia all’alba, ci aiutano a caricare e si parte in modo da fare la salita ripida prima del sorgere del sole. Con “Escobar” ci diamo appuntamento alle cinque del pomeriggio al bar più grane di Tahrar Souk, la nostra meta di giornata. Tambone ha mangiato grano tutta notte ma non ha un gran passo, la gola sopra il paese è bellissima un grande canyon che con l’aumentare della luce diventa sempre più bello. Ritornati sulla via principale scendiamo in direzione della diga, ormai praticamente ultimata, che ha chiuso il punto più stretto della gola dando origine ad un lago artificiale, ci fermiamo per andare a vedere lo strapiombo dall’alto e poi continuiamo a scendere e passiamo sopra la diga suggestiva e inquietante, Gli operai scendono al lavoro, il paese è in alto, vicino alla diga c’è un altro paese fatto di baracche, tutte ordinate, era il villaggio per i tecnici e gli operai europei che hanno progettato e costruito il gigante di cemento, ma ora sono andati quasi tutti via. Saliamo incontro al flusso degli uomini con l’elmetto giallo e dall’alto si vede il lago che sta alzando di livello e si appresta ad inghiottire alberi e cespugli.
Sulla strada, di fianco ad un mulino, un locale lussuoso per il contesto, è chiuso ma un ragazzo dal mulino ci vede e viene ad aprire, le pareti sono tappezzate di poster e foto del proprietario su macchinoni e con i giocatori del Barcellona, sui tavoli pipe e resti di bagordi notturni, quando capisce che volevamo fare solo colazione ci fa capire che vuole chiudere veloce perché ha altro da fare. Ancora campi di grano che perdendo quota diventa più alto, incontriamo asini e muli che lo trasportano verso i villaggi, a fondo valle intorno al fiume il villaggio di Tahar Souk, il più grande della zona e oltre le grandi montagne del Rif. Attraversiamo la via del paese verso il centro per cercare un alloggio e internet, ci si sente gli occhi addosso ma non si incrociano gli sguardi, la stessa sensazione provata qualche anno fa visitando i paesini dell’interno della Sicilia. Arrivati nella via principale, la strada che poi prosegue verso Ketama, sull’altro lato della sdrada, infastidito dalla luce del sole come tutti i topi d’ufficio, ci sta aspettando il commissario della gendarmeria. Sembra cravattino, quello dei verdi, il tuttologo nullologo piovuto all’Isola da qualche anno, è solo un po’ più secco e abbrustolito ma l’assomiglia davvero. Ci accoglie con lo sguardo famelico come a di’ “ora vi cardo io” “chi siete? dove credete di andare? Cosa portate sul mulo? In caserma !!” lego Tambone a un palo, ma non va bene, arriva un omino e lo porta via. Solito interrogatorio e controllo dei documenti: “da dove venite ? perché siete qui? Dove andate? Qui non ci sono alloggi non è un posto per turisti, la tenda non si può montare, viaggiare da soli è pericoloso, prendete un taxi e andate nelle zone turistiche, noi abbiamo già abbastanza problemi…..” inizia una serie infinita di domande ripetuta più volte, vuole sapere tutto il percorso, ma perde il filo e fa finta di scrive’, per darsi un tono mi dice che conosce la Bonalaccia nota città italiana. Suona una scatola di legno sulla scrivania e fa saltare tutti i fogli, dalla scatola il commissario cravattino pernde il telefono mentre cerca con l’altra mano di catturare fogli e penne in fuga, cerco di rimanere serio ma non cela faccio e il rappresentante dell’ordine s’incighialisce ancora di più. Riprendono le domande…nome del padre “Oddone”, nome del padre della madre “Moisè”, il commissario ha un’intuizione da commissario Ginko: “vous etez jude!” no, gli rispondo, era originario di Bacoli, un posticino che a confronto il Rif è l’orto dei frati della Verna.
– Siete sposati ? – No
– E perché ? … concubinaggio !!! – E perché? Ma perché sei venuto qui? Chi te l’ha detto che esiste Tahar Souk?
Gli racconto il viaggio, la lista dei nomi…., alla fine mi dice che è tutto a posto ma che a fine giugno mi scade il permesso di soggiorno in Marocco, mi ribadisce il concetto: mangiate qualcosa e andate via e la tenda assolutamente no, poi ci restituisce i documenti e ci dice che ha chiamato il Chir (sindaco) che ci raggiungerà a breve. Il tempo di riprendere Tambone e il Chir arriva col motorino, è un tipo dinamico tutto rasato e coi baffi, anche lui è perplesso sul nostro soggiorno, ma una volta capito che noi si resta qui dice di non cercare sistemazioni e che penserà a tutto lui. Ci accompagna al ristorante del souk con tanto di traduttore francese che presenta il menù declamando la viande et tout les choses… in realtà c’è solo lesso sfatto con patate e cipolle, li chiedo se è possibile avere du’ ove, ma la risposta è negativa e se la prende a offesa dicendo che questo non è un posto turistico e se voglio cose strane devo andare ad Agadir. Nel frattempo ritorna il sindaco che ci ha trovato l’alloggio, mi porta a vederlo, una stanza vuota e una turca e un campo per parcheggiare il mulo vicino, perfetto, è un posto strano ma alla fine tutti, guardie e ladri, ci aiutano.
Alle cinque vado all’appuntamento con Escobar che però non si presenta. Marnisa, questo è il nome antico di Tahar Souk, è un posto di transito tutto ruota intorno alla grande piazza del souk, qui tutti fumano haschish e in giro non si vede nessuna donna, noi siamo gli unici stranieri e siamo circondati da sguardi e commenti, tutto sommato è un posto tranquillo, però seguo il consiglio del chir e lego Tambone all’albero con la catena.
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TagLuned?¨ 2 giugno 2008 Barrage Asfalou Tahar Souk (Marnisa) / Cravattino marocchino
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