Anche stamattina pioviscola, ma il tempo sembra essere in via di miglioramento. Andiamo al campeggio per recuperare Tambone, gli sciolgo la zampa per mettergli il morso e portarlo via, ma comincia a correre come impazzito di felicità fra l’erba alta del campeggio. Dopo vari tentativi riesco ad avvicinarmi ma quando vado per mettergli il morso si divincola e mi molla un gran calcione e scappa galoppando fra i prati. Lo capisco, ma devo fare lo stronzo e con l’aiuto del guardiano gli intrappoliamo le gambe con la corda, poi gli metto il morso e andiamo alla via di casa, attraversando i perfetti vialetti di Ifrane. Non senza difficoltà gli mettiamo la sella e Tambone sfoga l’incazzatura vergando un calcione al canino della padrona di casa che si atteggiava a bestia dominante. Osservati come alieni lasciamo Ifrane, solo i giardinieri ci rivolgono la parola e ci danno consigli sulla via da prendere. Purtroppo non ci sono molte alternative: la strada asfaltata o il sentiero che la fiancheggia. Siamo circondati da nuvoloni e temporali, ma per fortuna non ci bagnamo. È una zona caratterizzata da blocchi di calcare e l’acqua fra le rocce appare e scompare continuamente. È una zona agricola coltivata a grano e frutti, ogni tanto lungo la strada si incontrano delle botteghe per turisti con esposti minerali, enormi fossili tarocchi, tappeti, miele, tajine…tutti mediamente sgangherati, Ifrane è a pochi chilometri ma è ormai lontanissima, siamo tornati in Marocco. Dopo una ventina di chilometri la campagna diventa una macchia di lecci e lungo la strada ci sono improbabili banchetti con sopra esposti dei barattoli di miele, si va avanti così per una decina di chilometri, ogni centinaio di metri un banchetto di miele, sembrano abbandonati, ma imboscati nella macchia ci sono i venditori, che oggi per il freddo si stanno riscaldando tutti con dei fuochi. Non avrei mai pensato di trovarmi a patire freddo di maggio in Africa in una macchia di lecci. La macchia si dirada quando comincia a scendere la strada e ci ritroviamo a Immouzer du Kandar, una cittadina dove stanno costruendo un sacco di villette a schiera, tutte uguali, le stesse che stanno rovinando l’Elba, sembrano le case del PEEP di Campo, quelle che andrebbero convertite in calcinacci col tritolo. Il centro del paese è la parte più bella, con i canali per regimare le acque che qui sbucano continuamente dalle rocce e la piccola e ordinata medina.
Ci sistemiamo in un piccolo albego alla fine del centro abitato che si affaccia sulla grande pianura in direzione di Fes, è una struttura datata e un po’ decadente ma affascinante sembra un posto dove il tempo si è fermato, è tutto d’epoca: il gestore le donne della cucina, il giardiniere e anche i cani sono vecchi. Subito non ci vogliono, il gestore tutto sdegnato dice che non è un albergo con gente che viaggia con gli animali, ma poi ci prende e si spende anche poco.
|
|
TagMaggio 2008
Piove sodo, quindi oggi non si parte ma il padrone di casa ci sfratta perché Tambone ha cacato nel prato. Mi sento fuori posto, è quattro mesi che caco fuori dall’uscio e oggi si so incazzati perchè il ciuco ha cacato nel prato, parto con il mulo in cerca di una sistemazione e la trovo nel campeggio che è ancora chiuso ma disponibile per Tambone che si trova in un paradiso d’erba. Sistemato il ciuco e raccolto il concime, abilitati rimaniamo nel solito alloggio.
Ifrane è un “truman show” abitato da studenti figli di papà, giardinieri e poliziotti, dove ogni giorno vengono cambiati i fiori nelle aiuole lungo le vie, i macchinoni che transitano hanno tutti la marmitta catalitica: la cittadina ideale, peccato che basta fare pochi chilometri per trovare villaggi di case di fango e merda dove i bimbi non vanno a scuola.
Aspetto positivo del “villaggio paese” (credo che Ifrane sia il sogno proibito di Bosi e Marchetti) è che si mangia bene e la connessione internet è potente. I ragazzi del truman trasudano di benessere, sono vestiti come i loro coetanei occidentali, fra le tante cravatte e i rolex spunta anche qualche simbolo “ribelle”, magari si ripeterà la storia del Collège Berbère e dalla scuola d’elitè verranno fuori i nemici delle sperequazioni sociali, in fondo anche il 68 era figlio dei figli di papà.
|
|
|
Sveglia prima dell’alba, prepariamo gli zaini e nel frattempo arriva Tambone che stamani è stranamente mansueto e si lascia caricare tranquillamente. Attraversiamo la città ancora un po’ addormentata e prendiamo la strada principale per Ifrane, ben presto circondata da spettacolari ciliegi che però in questo tratto sono molto ben protretti. Per fortuna dopo pochi chilometri imbocchiamo una strada secondaria e il traffico scompare del tutto, siamo circondati da campi di grano e piano piano entriamo nella famosa foresta di cedri che circonda Ifrane. I cedri ci sono, ma molto più piccoli e radi rispetto a quelli che abbiamo visto nella zona più meridionale del Medio Atlas, è una foresta di cedri e lecci ben tenuta, ma ha poco di selvaggio, sembra un grande giardino. Dopo un paio d’ore di cammino sullo sfondo si inizia a vedere Ifrane, sembra una città costruita coi lego, con le case bianche e i tetti rossi super spioventi. È tutto molto ordinato ma totalmente scollegato da tutto quello che è Marocco, per lo meno il Marocco che abbiamo visto finora. Di solito c’è un gran disordine e tanta sporcizia e la poca erba è rasata e contesa dai tanti animali, qui è l’esatto contrario, è tutto geometrico e pulito, ma l’erba spiga e prolifica da tutte le parti e l’unico che ne usufruisce è Tambone, che sta tosando tutti i bordi dei marciapiedi della periferia. Entriamo nel centro e attraversata l’asettica piazza, ci sistemiamo in un appartamentino con giardino. Il tempo è brutto, facciamo un giro a piedi per Ifrane fra villette e grandi edifici pubblici in stile europeo, poi proviamo a visitare il famoso college Al Akhawayn la più prestigiosa università del Marocco, dove studiano i futuri dirigenti del mondo arabo, ma non è possibile. Inizia a piovere e fa un gran freddo, andiamo a internet e ci passiamo il resto della giornata. |
|
Oggi è l’ultimo giorno ad Azrou, come al solito la pausa è stata un po’ più lunga del previsto ma cose ne sono state fatte tante e poi la parte “giornalistica” del viaggio è impegnativa ma anche gratificante e l’idea di raccontare e commentare il giro del mondo con tante persone mi piace parecchio.
Prima di lasciare Azrou voglio vedere il Collège Berbère e il famoso monastero di Taolumine.
Il primo è un imponente costruzione dentro la città, oggi un po’ malandata che fu costruita dai francesi per istruire i berberi e creare una classe dirigente locale non araba, l’intento era legare i berberi alla francia per tutelarsi dai movimenti indipendentisti portati avanti dai “cittadini” arabi. Nella scuola si studiava il francese, l’arabo e l’islam erano banditi, ma nonostante il disegno facesse forza sull’insofferenza dei “veri marocchini” nei confronti degli arabi, il progetto coloniale si dimostrò un fallimento in quanto gli allievi del collège furono fra i più attivi nei movimenti indipendentisti marocchini. Una stradina sterrata che inizia vicino alla ex grande scuola e attraversa campi di grano entra in una bella macchia di lecci fino a rincontrare dopo qualche chilometro la strada asfaltata per Ain Leuch, ancora un paio di chilometri e si arriva all’ex monastero praticamente irriconoscibile, due pastori mi confermano che è l’insieme di ruderi davanti a me e mi raccontano che qui i frati curavano le persone con i medicinali ma poi sono andati via, loro dicono 50 anni fa io avevo letto negli anni 90, comunque la struttura che assomiglia a una grande fattoria abbandonata è messa proprio male, è in totale degrado nonostante ci abitino delle persone.
La gente non ama parlare del passato sembra che la storia sia un qualcosa che conviene dimenticare, soprattutto nelle città.
|
Il tempo è discreto vorrei noleggiare una moto o una macchina per fare un giro nei dintorni ma non se ne trova, ma va bene anche così perché alla fine con skype e internet sistemo un sacco di cose. | |
Oggi gli uffici sono aperti e allora vado in cerca di una carta dell’Atlas, alla biblioteca comunale che è dentro una chiesa sconsacrata, non c’è niente di interessante, dalla forestale nemmeno, passo la mattinata sbatacchiato da un ufficio all’altro ma la mappa non c’è, però ci sono tante belle riviste dove c’è il re che va con la moto d’acqua, poi c’è il re che ammazza un cervo e anche il re che gioca a biliardo.
E’ difficile avere informazioni spesso la stessa domanda fatta a dieci persone diverse dà dieci risposte diverse, a volte anche la stessa persona cambia la versione più volte ma alla fine è anche divertente.
Il tempo brutto mitiga la voglia di partire e aiuta ad andare avanti con i lavori “virtuali”.
|
|
Come sempre nelle città gran parte del tempo finisco per passarlo ad internet per cercare di sistemare il sito del viaggio e seguire il Viottolo, poi per aggiornarmi attraverso Elbareport sulle vicende dell’Isola dove in questi giorni si celebra Pietro Gori e anche su quelle della patria dove si “celebra” Calderoli.
Azrou è una città tranquilla ma l’impatto con i centri urbani, scendendo dalle montagne, è sempre negativo. Qui sei merce, ti parlano in inglese o francese con frasi fatte senza curiosità solo per forma e interesse, cercando se possibile di fregarti. Ci sono turisti ma di passaggio al massimo si fermano una notte.
Quando esco dal cyber è tutto deserto solo qualche persona nella zona dei bus.
|
|
Sveglia all’alba, anche oggi c’è da fare un “tappone”, apro la porta per vedere che tempo è, ma sull’uscio c’è l’omo bianco che mi rimanda in casa, prima si fa colazione e poi tutto il resto, nel frattempo manda la seconda moglie a far bere il mulo al lago. Appena partiti passiamo davanti alla grande maison forestale costruita dai francesi nel periodo coloniale e oggi fatiscente, scendiamo a vedere le sponde del lago Ouiouane dove “navigano” tranquille un po’ di anatre, è un bel laghetto con le sponde erbose e circondato da grandi alberi. La strada sale a curvoni nei tratti più ripidi il cemento sostituisce l’asfalto, ritroviamo i grandi cedri, e nelle radure i villaggi dei semi nomadi, con le loro case baracche di legno e teli di plastica. La salita finisce in un grande altopiano dove fra grandi massi di calcare, numerose greggi pascolano nell’erba bassa, ai margini la foresta che copre le zone alte e poi colline rossastre a perdita d’occhio. Anche qui in alto c’è un villaggio, la maggior parte delle persone sono arrivate da poco e le baracche sono in allestimento. Passo vicino a un pozzo scavato in mezzo alla radura dove ci sono due donne con due bimbe piccoline che giocano sopra una coperta, in realtà più che un pozzo è una buca sopra un fiume sotterraneo, una prende l’acqua col secchio e la tira sui cenci e l’altra li pesta coi piedi, mentre dentro dei tinozzoni scuri c’è la lana appena tosata a spurgare nell’acqua. Le donne parlano solo Tamazigh ma è un dialetto molto diverso da quello sentito finora. La strada inizia a scendere, ogni tanto si incontra qualche pastore fra le rocce bianche e i tanti lecci, sulla carta che questa zona viene definita una foresta di cedri, ma in realtà è una macchia di lecci che ricorda il nuorese. E’ una ventina di chilometri che si cammina, il paesaggio è bello ma l’asfalto rendo tutto meno affascinante anche se traffico non ce n’è. Nei pressi di Ain Leuch troviamo una schiera di chalet in stile alpino abbastanza disastrati, poi si entra nella cittadina, sembra un paese europeo con palazzoni e grandi edifici pubblici, sarebbe l’ora giusta per mangiare ma anche se sembra impossibile non riesco e trovare un posto per Tambone e allora si prosegue attraversando il centro di questo paese in discesa. Si sbuca su una strada trafficata dove passano camion con grandi tronchi di cedro e si iniziano a vedere i ciliegi con i frutti maturi. Per fortuna dopo poco prendo una via secondaria senza traffico e fiancheggiata da tantissimi ciliegi stracarichi di ciliegie mature, la tentazione è troppo forte nonostante i guardiani che sono accampati dentro i frutteti con delle tendine di teli di plastica, quando vedo che i guardiani sono più incuriositi dal viaggio che dal furto di ciliegie inizia una scorpacciata ininterrotta di un paio di chilometri. Fra ciliegi e campi di grano arriviamo (omo e mulo) a sera “colli stranguglioni”. Dopo una decina di chilometri di pianura fra i coltivi ,la via risale e si rotola sinuosa in una fitta macchia di lecci, poco prima del tramonto vediamo Azrou dall’alto, è molto grande ed è dominata da un’enorme moschea. La città sarebbe vicina ma la strada cammina in alto sulle colline facendo un giro largo nella macchia, è notte piena ma c’è una temperatura piacevole, entriamo nel centro abitato da una grande via illuminata con le rotonde e ampi marciapiedi, sembra una moderna città europea, senza nemmeno capirlo mi trovo proprio nel centro davanti alla grande Moschea dove c’è un albergo, sono le dieci per stanotte si dorme qui, come sempre l’ingresso col mulo crea ilarità, qui più che mai, visto che si sentono cittadini, comunque si trova anche una buona sistemazione per Tambone in un campetto accanto all’hotel. Le ciliegie ormai sono stradigerite, ora si cerca qualcosa da mangiare poi Azrou la cominciamo a guardare bene domani. | |
© 2024 Elba e Umberto