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La luce ci sveglia, ammiriamo l’alba dalla tenda, poi il sole ci scalda e si esce. Con la luce del giorno la quantità di fossili è ancora più impressionante, ce ne sono milioni  con molte varianti per  forma e dimensione. Passano pochi minuti e arrivano tre pastorelli, su queste montagne c’è sempre qualcuno anche nei luoghi più isolati, uno dei tre suona un tubo di plastica a mo’ di flauto, ci godiamo un po’ il posto e poi si carica e si parte. Un bimbo ci indica la giusta via, il viottolino diventa mulattiera quando incrociamo un pastore che ha in grembo un agnellino appena nato, dopo un’ora di discesa imbocchiamo la pista che ci porterà a Anefgou, seguendo  il fiume. E’ già da una mezz’ora che la roccia di prevalenza è il granito, i fossili sono scomparsi, ma ci sono  tanti cristalli di quarzo, i più appariscenti sono alcuni verdi. Incontriamo i primi cedri dell’Atlas e ci sono enormi coti rotondeggianti sparsi lungo i pendii ripidi delle montagne, il paesaggio è cambiato totalmente, è tutto molto più verde, vediamo una baita in perfetto stile alpino, e alcuni altri edifici simili, ma ancora nessuna persona. Il fondo valle è coltivato, nei pressi di Anefgou incontriamo le prime persone, il paese è mimetizzato con le rocce giallastre della montagna alle sue spalle, guadiamo il oued e entriamo nel villaggio sotto gli sguardi “corleonesi”degli schivi abitanti. Mi dirigo verso la scuola per chiedere qualche informazione e la giovane maestra mi affida a un bimbo che ci accompagna assieme al fratello più grande all’hotel cafè di famiglia, l’unica struttura “ricettiva” del paese. Si passa davanti ai prati del paese dove ci sono tutti gli uomini sdraiati al sole che dormicchiano. Hammed ci porta a casa, l’hotel è una stanza con dei materassini, il bagno è la stalla che ospiterà anche Tambone, scarichiamo il bagaglio e ci fermiamo, dopo una siesta mangereccia, the e uova, facciamo un giro del paese, le donne sono più belle del solito, sono ingioiellate ed hanno gi occhi truccati, le bimbe hanno le trecce e alcuni bimbi hanno una cresta punk. Ci sono tante persone, è un villaggio che non sembra per niente islamico, c’è un grande gruppo di donne e ragazze, almeno trenta, ma ci fanno capire che non siamo graditi, giriamo fra le case che qui hanno ampie scale esterne in legno, il cui spazio sotto viene usato come riparo. Facciamo un giro e si rientra, Hammed ci apre il negozio, compriamo sardine e biscotti e torniamo a casa. Come sempre si fa amicizia coi bimbi, Hadda, la piccola sorella di cinque anni è l’attrice protagonista della situazione, qui comanda la mamma, una donna autoritaria e di poche parole. Ci viene a fare visita un anziano barbuto con un tonacone bianco, ha un’aria contrariata ,vuole vedere i documenti e non gli torna che siamo arrivati con l’asserdoom (il mulo). È il responsabile del paese e mi fa scrivere i dati anagrafici su di un pezzo di cartone, poi lo sento brontolare con il padrone di casa, pochi minuti e arriva un ragazzo che si presenta come responsabile della polizia che mi richiede le stesse cose poi va via soddisfatto. È ormai buio quando il silenzio viene rotto bruscamente dal rumore di un’auto accompagnato dal suono ipnotico del canto urlato delle donne e poi il rumore di una grande corsa collettiva. Andiamo a vedere che succede, tutto il paese sta andando verso lo stesso punto, c’è un fuori strada parcheggiato, gli uomini incappucciati e le donne che cantano sbattendo la lingua, nella concitazione casco nel canale dell’acqua proprio mentre passa un feretro coperto da un telo bianco portato da uomini che risalgono da dietro il villaggio verso la casa dove si è radunato il paese. Gli uomini intonano un canto di cerimonia, sul tetto della casa e intorno ci sono centinaia di persone, i falò nelle viuzze rendono tutto molto suggestionante, vorrei fare delle foto, ma non me la sento, c’è un’atmosfera che è un misto di eccitazione e cerimonia liturgica. Ci raggiunge Hammed, anche lui è suggestionato da questa situazione, mi parla di un muto e di persone che hanno problemi, i canti luttuosi di una donna con un infante sulle spalle e gli sguardi ostili delle persone ci invitano a lasciare il luogo. Rientro con una grande curiosità per questo evento che non ho capito, ma che mi ha suggestionato. In tarda serata ci fa visita un altro pseudo poliziotto che ci dice che domani lo dobbiamo seguire al commissariato di un paese vicino perché non è normale che degli stranieri vadano in giro per cosi tanto tempo con un mulo, dopo una mezzora di risposte calme, alzo la voce e gli dico che io non vado con nessun poliziotto, come d’incanto si normalizza tutto, mi dicono che va tutto bene, mi chiedono scusa per il disturbo e mi dicono che domani posso andare dove voglio .   Si viene a sapere cosa è successo: è morta una giovane donna incinta.