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L’Oasi è come un’Isola Il silenzio è il sovrano di Siwa, tutto è lento e rilassante nell’oasi, la frenesia del Cairo finalmente ha smesso di rimbombarmi nel cervello, per quanto possa sembrare assurdo sento aria di casa. Si prendono due bici scarcassate e ci si sposta verso il lago salato di Siwa, passando dal piccolo souk per la via si incontrano tanti carretti, di solito guidati da bimbi, che accompagnano le donne sempre velate di nero e ricoperte dal classico mantello color grigio azzurro, il tarfottet. La comunità di Siwa ha costumi molto rigidi e le donne non devono mai uscire di case senza essere accompagnate. Cercando uno sbocco sul lago si finisce nel fango salato, poi si raggiunge una strada sopraelevata che lo attraversa. Il tempo è fosco e il paesaggio surreale e indefinito, ci sono delle piccole isole e blocchi di sale, tutto intorno il deserto ma niente di tutto questo ha forma definita. Falchi, aironi, garzette e anche fenicotteri rosa, si specchiano nelle acque del lagho così come le anatre. Arriviamo in una zona dove il silenzio è interrotto da delle idrovore che stanno asciugando la parte esterna della laguna per creare delle zone agricole. Andando avanti troviamo una strada che torna verso Siwa camminando sul limite della laguna dove inizia il verde dell’oasi, in cui prevalgono le coltivazioni di olivo e palma da dattero. La terra è argillosa e in alcuni punti è rosso porpora, ci sono tanti ruderi di case e piccoli villaggi costruiti di blocchi di sale che ormai sciolti dall’acqua si sono deformati in sagome spettrali. Continuiamo il nostro giro pedalando nell’oasi, si incontrano soprattutto carrettini trainati dai ciuchi e qualche moto, senza volerlo mi ritrovo al Djebel Dakrur rinomato per le sue sabbie curative e per i fantasmi che a detta dei Siwani sembrano abitare la collina, subito dopo il piccolo villaggio e poi una serie di abitazioni abbandonate. Vagando nel dedalo dei viottolini all’interno dell’oasi dopo un pò arriviamo sotto la collina di Aghurmi dove si trova il mitico tempio dell’Oracolo di Amon, che Alessandro Magno visitò nel 331 a.c per chiedere conferma sulle sue origini divine, i sacerdoti dell’oasi confermarono la discendenza sovrannaturale indispensabile per diventare faraone e per par condicio unificarono il culto greco a quello romano e lo dichiararono figlio di Zeus Amon. La luce accecante e l’aria densa di polvere e foschia mi inducono a visitare il famoso sito in un’altra occasione, così come l’altro tempio di Umm Ubeyda, anch’esso decicato ad Amon, che incontriamo poco dopo. Proseguendo nel palmeto si arriva ai famosi bagni di Cleopatra considerati la massima attrattiva dell’oasi di Siwa, sono una grande delusione, una pozza d’acqua termale con un po’ di bollicine con a fianco un baretto e un po’ di poliziotti di guardia e un paio di ragazzetti che si tuffano nel pozzo, una goffa attrattiva turistica che stona con tutto il contesto e poi questo nome idiota che non c’entra niente con Siwa, sullo stile dello scoglio della Paolina nel Golfo di Procchio, è sicuramente più bello e storicamente pertinente il nome di “Sorgente del Sole” che gli dettero gli antichi viaggiatori, o quello semplice e schietto di “Sorgente del Bagno” (Ain el Hamman) che gli ha dato la gente dell’oasi. È ormai il tramonto quando si ritorna al villaggio di Siwa, è il momento in cui lungo le vie c’è più movimento, la gente ritorna a casa dai campi e tutte le micro botteghe si attivano, tutto scorre lento e armonico e sembra essere immutato da secoli. Il rientro verso casa di un contadino che spinge una carretta piena di erba medica mi fa tornare in mente Zio Mario quando rientrava la sera alla Bonalaccia dopo aver irrigato l’orto delle paglicce, con il raccolto dentro la carretta nascosto alla curiosità di turisti e vicini da una catasta di erba per i conigli con un poponcino marcio sopra da regala allo scroccone del maresciallo dei carabinieri, un tale Zollo che passava sempre dalla via all’ora del rientro. In queste stradine polverose rivedo la Bonalaccia della mia infanzia, queste biciclette che passano con le zappe legate dietro al sellino, sono scene riviste e le formazioni di ibis che volano compatte nel tramonto ricordano i gabbiani. Nonostante siano circondate dalla sabbia le oasi sono la situazione più isolana del continente e i suoi abitanti hanno un identità ben definita, sono orgogliosi della propria terra in una maniera spontanea, probabilmente genetica proprio come gli isolani. È questo un posto povero ma dignitoso, ricco di fascino e di mistero, non ci sono paesaggi eclatanti o monumenti imponenti, ma si è costantemente circondati da un alone di fascino e mistero reso assai piacevole dalla quiete e dall’indole orgogliosa ma pacifica dei siwani |
© 2024 Elba e Umberto
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